lunedì 16 dicembre 2013

Miami & the Groovers NO WAY BACK


Mi piacerebbe, con un po' di semplificazione, scrivere che NO WAY BACK è soprattutto un film. D'accordo, è uno show dal vivo, a Cesenatico all'inizio di primavera 2013, ed è un disco dal vivo, che testimonia in maniera inoppugnabile cos'è il torrido r'n'r show di una delle band di rock anglofono più amate della penisola. Ma soprattutto è un film, perché è un grande film quello che riesce a catturare e trasmettere, a chi c'era ed a chi mancava, a chi li ha visti suonare e chi non li conosce neppure, qual è lo spirito del rock che scorre come un fiume in piena nello show della band, nel suo pubblico, nei suoi fan e nella scena di Little Italy.
Non è il documentario di un concerto: è un film che trasporta lo spettatore nel mezzo dell'azione, nel mezzo del palco di Miami & the Groovers e nel mezzo del pubblico. Backstage, interviste, testimonianze, anche di artisti come Joe D'Urso e Pat Toner, di Daniele Tenca e Riccardo Maffoni. E poi il diluvio delle canzoni, il repertorio dei Groovers, da Always The Same a Good Things, Rock and Roll Night, Tears Are Falling Down fino a Merry Go Round e We're Still Alive, più una sorpresa finale unplugged registrata nei camerini.
I Groovers danno il loro meglio sul palco, e No Way Back lo testimonia: la band è fortissima, davanti a tutti la chitarra solista di Beppe Ardito e le tastiere meravigliose di Alessio Raffaelli, ed il boom boom inarrestabile di Marco Ferri, ma è tutto il gruppo che funziona bene assieme, cantando come il motore a punto di una auto sportiva nazionale (Luca Angelici al basso e cori).
Lorenzo Semprini (che nel lungo curriculum può vantare un concerto al Bitter End di NYC e più d'uno dallo Stone Pony) ci mette l'anima ed il suo pubblico lo sente e risponde. Le canzoni sono sentite, ottimamente suonate e perfettamente registrate, e tutto quanto è sul CD e sul DVD.



lunedì 21 ottobre 2013

Claudio Milano l'intervista


Abbiamo una lunga intervista con Claudio Milano, uno dei più dotati cantanti della scena nazionale, ed autore del recente opus magnum dei due doppi Bath Salts e L'Enfant et le Ménure.

Decisamente inconsueto il formato di un box in 4 dischi. È un unico lavoro in quattro atti, o sono 4 registrazioni distinte?

Si tratta di 2 differenti progetti, un doppio audio-libro a nome inSonar, un altro a nome NichelOdeon. Il box è solo una scelta per chi avrà voglia di acquistare ambo i lavori ad un prezzo ridotto ed in edizione limitata.

Distinti per tema, per momento di realizzazione, per band?

C'è di fatto differenziazione per ciascuno dei tre elementi che citi. Il tema di Bath Salts dei NichelOdeon è quello del cannibalismo nei rapporti interpersonali nell'epoca contemporanea e attorno a questo tema, con una variante più intimista per il primo capitolo, D'Amore e di Vuoto e una con lo sguardo più rivolto a quanto mi capita di vedere nella società odierna, in Di Guerre e Rinascite, secondo capitolo, ruotano le riflessioni contenute in parole e suoni, ad esse strettamente collegati. L'Enfant et le Ménure è un disco diviso in due momenti più netti, uno, L'Enfant, è un album a concetto che parla di come i bambini siano in grado di trasformare attraverso la loro immaginazione, l'orrore in meraviglia. Sono loro a parlare in prima persona e senza retorica, come in un fumetto agrodolce, della scoperta della vita. Dal rapporto con la loro famiglia a quello con gente che si relaziona a loro, li illumina, li tradisce fino a provare ad ucciderli dentro, come in Dieci Bambini Cacao e in L'Estasi di Santo Nessuno, ma non riesce a piegarne il potere creativo (Hamelinvoice, dedica al mistico Daisaku Ikeda, guida mondiale del movimento buddista laico Soka Gakkai). Il secondo dischetto, Ashima, nome tratto da una splendida leggenda giapponese, parla del viaggio reale o metaforico come mezzo per la costruzione del sé.
L'Enfant et le Ménure è disco frutto di quasi tre anni di lavoro, Bath Salts è stato concepito in un anno, anche se un brano incluso, Giulia, è stato scritto nel 1994, a testimonianza di come questo sia un disco che ripercorre l'intero mio percorso umano e creativo e funga da sintesi e quadratura di un cerchio. In nessuno dei due casi è possibile parlare propriamente di band. Si tratta di progetti/laboratori sonori e multimediali. InSonar è nato come duo grazie alla collaborazione con Marco Tuppo, per divenire poi laboratorio internazionale di networking. NichelOdeon è nato dalla stretta e diretta collaborazione con Raoul Moretti, Pierangelo PANdiscia degli Enten Hitti, Vincenzo Zitello, Paolo Carelli dei Pholas Dactylus, Fabrizio Modonese Palumbo dei Larsen, Effe Luciani, autore dell'emozionante concept visivo e un'altra trentina di artisti che hanno animato cinque decadi di avanguardia italiana e non.

Mi dici qualche parola in più su ognuno dei lavori? 

a) D'amore e di vuoto
È il disco che parla del crollo delle certezze, dell'abbandono, del tradimento ed è un dischetto assai intimo, anche nel senso più erotico del termine. Lo fa con un carattere emotivo come in Un Posto Sicuro o nella confessione di Ricordo d'Infanzia che parla di uno stupro; con rabbia come in 7 Azioni (Musica per la Carne), con i fantasmi che aleggiano nella rilettura di (This Side of) The Looking Glass di Hammill, ubriaca di spettri che aleggiano tra le parole cantate con la testa tra le corde di un'arpa elettrificata, con il tema pastorale e carico di vita di Desiderio Nascosto con un Vincenzo Zitello in stato di grazia.

b) Di guerre e rinascite
È il disco dello sguardo sulla storia e il suo alternarsi di corsi e ricorsi, quello che parla di una cultura occidentale ormai morta, che, credo, si risolleverà solo grazie alla volontà di credere nelle sue risorse e nella potenza degli affetti, quel qualcosa che porterà a guardare all'altro da sé come ad una risorsa e non una minaccia, cosa che certo comporterà lo sforzo di raccogliere un fiore “ma da un cespuglio che cresca mezz'ora almeno dalla casa dove stai”, come nella profetica lirica di Brecht che chiude il lavoro. Credo che il tema che si evince principalmente dal disco sia la necessità della cultura attuale di autodistruggersi attraverso una nuova guerra per poter rinascere attraverso un nuovo equilibrio economico e sociale. E'un tema che viene affrontato come in L'Urlo Ritrovato e Johnny dei Pirati, attraverso un'ironia a denti serrati, in Trittico 50 mg con uno spirito più aggressivo, smorzato però da un'impianto vocale che fa il verso alle visioni di Tim Burton e Danny Elfman. In Finale (Ninna Nanna) si parla invece di smembramento dei corpi. Una delle mie recenti ossessioni è il finale del Profumo di Suskind. Sento che il corpo non viene più percepito come tempio, né come macchina, ma come merce. In America sono istituzionalizzate cliniche per la vendita legale di organi da parte di gente che da viva si farebbe a fette per potere pagare i propri debiti. In India le famiglie vendono i figli al mercato nero, consapevoli che questi bambini saranno fatti a pezzi e venduti come carne da macello, tanto più valida quando un 0cchio è di un certo colore, una gamba è più lunga, un rene è più giovane. Immagino a breve padri che si lasceranno fare a pezzi per garantire alle proprie famiglie di sopravvivere e il peggio è che questa è già realtà. Del resto, il sospetto che nei ristoranti cinesi si mangi carne umana (dove sono le centinaia di cinesi che muoiono in Italia?) è cosa antica.

c) L'Enfant
E'un disco giocoso dove la ricerca timbrica per voci e strumenti è condotta a conseguenze davvero estreme ma senza necessità di pagar pegno al concetto di avanguardia come qualcosa di noioso, pesante. La messa buffa di The Simpson sing Gounod scritta per la performance My Personal Holy Family di Marc Vincent Kalinka alla Biennale di Venezia 2011 ne è un esempio e lo stesso di può dire di Menura Latham con Mastelotto a giocare con le percussioni in maniera formidabile e Thomas Bloch ad un Onde Martenot che sembra provenire dalla fabbrica di doni di Babbo Natale.

d) Ashima
E' l'emblema della contaminazione dei linguaggi. La torre più alta ne è un esempio vero, in mezzo c'è di tutto, canti mongoli e mediorentali (Albert Kuvezin e il M° Roberto Laneri), sitar (Jonathan Mayer), mandolini (Michele Bertoni), il sax free jazz di Nik Turner, un clarinetto di tradizione ebraica dalle dita e le labbra di Michael Thieke ed Elio Martusciello, l'elettronica di Dieter Moebius e Mattias Gustaffson. Medina poi è incantevole con quel theremin da un'altra dimensione di Thomas Grillo, le atmosfere orientali di Tuppo, le percussioni elettroniche di Stephen Flinn. Stessa cosa per il viaggio interiore di Liberami con un finale mozzafiato pura marca Elliott Sharp; per la versione suadente di Warszawa con sezioni strumentali pazzesche che alteranno assonanze e dissonanze, i voli pindarici del violino di Gordon Charlton e le percussioni di Calloni; per l'ammorbante sezione di fiati di Dana Colley su Gallia #2. Un biglietto per un viaggio senza ritorno e a bassissimo prezzo.

Come sei "diventato" cantante?

Ho iniziato a 3 anni, non ho mai smesso.

Mi racconti qualche cosa della tua carriera fino ad ora?

Mi sento troppo vivo per poterne parlare retrospettivamente. So solo che ho lavorato e lavoro da quando avevo 13 anni spaziando tra musica, teatro, arti visive, performance e video, cercando sempre più di fare di me stesso suono, colore, immagine, una piccola palla di carne, ossa, fluidi e peli triturata e servita calda e in continuo mutamento.

Quali cantanti italiani ti hanno più influenzato?

Purtroppo, in Italia la cultura del bel canto c'ha fottuto tutti e in alternativa ci ha regalato fenomeni di birignao e di raucedine, gente che si canta addosso e basta. Tra le voci femminili, facendo slalom tra gli album meno segnati da esigenze di mercato, Giuni Russso in Energie, A Casa di Ida Rubinstein 2011, Signorina Romeo live; Mina in Dalla Bussola 1972, Minacantalucio, Dalla Terra, Napoli (1996) con un grande Danilo Rea; Milva nei suoi lavori brechtiani, in Live at the Bouffes du Nord con Piazzolla, in La Vera Storia di Berio; Alice in Melodie Passagére; Antonella Ruggiero in Libera; Katya Sanna in Il Chiarore Sorge due Volte dei Dunwich; Mia Martini in Miei Compagni di Viaggio. Tra le voci maschili, Giovanni Lindo Ferretti, poi, esclusivamente come riferimento tecnico, Stratos in Maledetti, Arbeit Macht Frei, Caution Radiation Area e Mr Doctor dei Devil Doll che vorrei tanto tornasse a produrre qualcuna delle sue meraviglie. Ho sempre trovato interessante la scansione ritmica del canto di Miro Sassolini, assai evocativo, interessante Pelù prima di 17 Re (già da questo album è diventato la caricatura di sé stesso, vizio tutto italiano), emozionante il cantante dei Deasonika, Massimiliano Zanotti e il declamare di Clementi. Divertente John De Leo prima dell'innamoramento ossessivo per Bobby Mc Ferrin. Le voci di Carmelo Bene, Danio Manfredini, Massimo Arrigoni rimangono poi dei fari per me, del resto, il mio modo è sospeso tra teatro e voce.

 ...e cantanti e musicisti in generale, anche fuori dall'Italia?

Le voci che più mi hanno segnato sono senz'altro straniere, Diamanda Galas, Peter Hammill, Chet Baker, Tim Buckley, Nina Simone, Phil Minton, David Sylvian, David Bowie nel periodo che va da metà anni '70 a primi anni '80, Mike Patton lontano da Faith No More e da canzoni da balera, Burzum, Meredith Monk, Nico, Lisa Gerrard, Dagmar Krause, Joan La Barbara, Arrington De Dionyso.
Parlando di suono non necessariamente vocale, per risponderti scorro i cd ascoltati nell'ultimo mese e traggo nomi di autori o interpreti, dunque, oltre ai nomi già citati e relative band: Scott Walker; Univers Zero; Xiu Xiu; King Crimson; The Work; The Velvet Underground; Bauhaus; Virgin Prunes; The Liars; Bjork; Syd Barrett; John Coltrane; Penderecki; Ligeti,; Zbigniew Preisner; John Cale; Radiohead; Sun O)); Carla Bozulich; Current 93; Swans; Joy Division; Mark Hollis; Robert Wyatt; Antony & the Johnsons; Soap & Skin; Art Zoyd; Tuxedomoon; The Residents; Einsturzende Neubaten; Bark Psychosis; Butcher Mind Collaps; Jeff Buckley; Alice in Chains; Franco Battiato; Fabrizio De Andrè; Angelo Branduardi; Luigi Tenco; Ivano Fossati; Alessandro Grazian; Faust'O; CSI; CCCP; Tom Cora; The Ex; Ulan Bator; Sigur Ros; Kate Bush; Peter Gabriel; Spires that in the Sunset Rise; Stefano Ferrian; Dalila Kayros; Il Babau e i Maledetti Cretini; Kurai; Led Zeppelin; Patty Waters; Albert Ayler; Nate Wooley; Burkhard Stangl; Alio Die e Mariolina Zitta; Derek Bailey; Gavin Friday; Schoenberg; Bach; Beethoven; Olivier Messiaen; Luigi Nono; Fabrizio Modonese Palumbo ed Ernesto Tomasini; Othon Mataragas; Meredith Monk; Alberto Lo Gatto; Enzo Lanzo; Kurt Weill; Danny Elfmann; Nick Cave & the Bad Seeds; Popul Vuh; Nina Hagen; Brian Eno; High Tide; Comus; Stravinskij; Ravel; Debussy; Faurè; Tchaikovsky; John Zorn; Lucio Battisti; Zeena Parkins; Joanna Newsom; Janis Joplin; Tool; Nuova Compagnia di Canto Popolare; Nusrat Fateh Ali Khan; Heinz Reber & Thomas Demenga; Incredible String Band; Goldie; Portishead; Skrjabin; Carlo Gesualdo da Venosa; i Carmina Burana originali e i Canti delle Crociate; Jaques Brel; Uri Craine; Rachmaninoff; Billie Holiday; Mats Gustaffson; Aris Christofellis; Angelo Manzotti; Tiziana Ghiglioni; Paola Tagliaferro e Max Marchini; Amelia Cuni e Werner Durand; Cecilia Bartoli; Sandy Dillon; Josephine Foster; Maria Callas; Giuseppe Di Stefano; Natalie Derome; Marika Klambatsea; Tom Waits; Bachi da Pietra; Bach; Djivan Gasparyan; Massacre; Sebastiano De Gennaro; Fabio Orsi e Valerio Cosi; Beatles; Beach Boys; Blur; Kula Shaker; John Martyn; Roy Harper; Claudio Rocchi; “Aria”Alan Sorrenti; David Torn; Smog; Mark Elliott; Meira Asher; Sigthings; Pop Group; Viviane Houle; Pholas Dactylus; Faravelli/Ratti; Aranis; Quodia; Carne Nera; Doubleganger; Kronos Quartet; i Garden Wall dei fratelli Seravalle. Ascolto tantissima musica, non appena qualcosa mi prende di soppiatto alla schiena ribaltandomi mezza prospettiva, è finita, si ricomincia tutto da capo, o quasi.

Hai una definizione (o più di una) per la tua musica?

“Il mio nome è legione”.

Quanto ti ha soddisfatto il box?

Completamente, tant'è che sto iniziando a diventare scontroso nei riguardi di chi mi aggredisce verbalmente prima, durante e dopo i concerti, come assai di frequente capita, come artista da strada ho subito anche delle aggressioni fisiche e non è una bella esperienza. Senza fare alcun voto ad arroganza, rabbia e frustrazione, ho solo la consapevolezza che per anni ho incassato, ora sto iniziando a reagire. Arriverà presto la saggezza che mi porterà ad ascoltare con il dovuto distacco.

Come va?

Ho avuto gravi problemi di salute che mi hanno accompagnato per diversi mesi. A monte di tutto mi sento più sereno e l'uscita di questo box è stata la cura migliore assieme all'affetto dei miei familiari e di alcuni miei collaboratori. Dunque, molto meglio, grazie :)



sabato 19 ottobre 2013

Ubba > Desmond


When Fabrizio De André meets Crazy Horse. Ubba è un cantautore di gran talento, anch'esso su quella strada musicale che è la Via Emilia. Una voce piena, profonda, ricca di personalità e di fascino. Insomma, una voce che non ci vorrebbe niente ad arrivare al successo. L'ho segnalato tempo fa sulle pagine di Little Italy per la sua bellissima Nella Sera (canzone e video).

Ubba canta in italiano, ma è un rocker, almeno quanto un songwriter di ballate del Texas. La prova provata è questo magnifico (magnifico) EP, che consiste in un cross over fra un songwriting nazionale robusto alla De Andrè (due brani sono proprio di Faber) e una chitarra distorta alla Crazy Horse.
Insomma, come i Crazy Horse con Neil Young.

Un'ottima notizia è che contiene una versione (grunge) del suo hit Nella sera.

La notizia migliore di tutte è che l'EP è scaricabile gratuitamente sulla pagina web di Ubba, e vi consiglio caldamente di farlo.

In chiusura mi piace aggiungere alcune note autografe del cantautore bolognese sul suo disco:


1. Desmond è un disco sotterraneo, nato e cresciuto in una cantina di Bologna (quella di Riccio) 2 piani sottoterra. Registrato nell’Aprile 2011, missato e masterizzato tra il 2011 e il 2012. E’ passato del tempo, ma di quelle prove a 8 metri sottoterra mi ricordo solo che la signora del primo piano (quindi 3 piani più su) veniva continuamente a dirci di abbassare il volume. Vorrei avercelo io il suo udito quando toccherà a me avere 75 anni.

2. Desmond è un disco di ritorni: ci sono due cover (anarchiche) di De Andrè e due rifacimenti di pezzi autografi vecchi (stravolti pure questi). Un solo inedito (registrato a casa nel 2004), che però lascia senza parole (essendo uno strumentale).

3. Desmond esce a 8 anni di distanza dal mio ultimo disco che, con le sue 31 copie vendute, è probabilmente destinato a rimanere il mio best-seller.

4. Riccio è un bassista, quindi qui suona la batteria. Nel disco il basso non c’è e forse è un omaggio inconscio a Mark Sandman, per il vuoto che ci ha lasciato in conto.

venerdì 18 ottobre 2013

le parole di Little Italy



"Siamo lontani fisicamente, e non solo, dal sogno della Asylum Records, dove facevano musica insieme, scambiandosi le canzoni, Jackson Browne, Tom Waits e gli Eagles. Ma col cuore e col pensiero siamo un po’ da quelle parti... una piccola etichetta discografica, una filosofia precisa, un piccolo laboratorio dove ospitare artisti che si conoscono tra loro, simili tra loro, o con punti di contatto importanti. Il piacere di creare i prodotti che vorremmo acquistare, farli proprio come quelli che piacciono a noi" (Ermanno LaBianca, su Route 61)

“Siamo nati nel 2000...con la voglia di suonare il rock che abbiamo sempre amato. I riferimenti erano quelli classici: clash dylan bruce elvis stones wallflowers... Riferimenti italiani pochini, anche se comunque di cose buone nel rock negli anni '90 ce ne son state. Un nome troppo sottovalutato da tutti: Brando, eccezionale chitarrista e cantante siciliano. Una scena esiste ed è alimentata da band che come noi si sbattono per città in città, da locale a locale e portano avanti la fiamma della musica live. Negli anni stiamo cercando di costruire una "rete" di locali e promoter per affrontare le difficoltà che esistono a suonare musica dal vivo in Italia. Abbiamo comunque vissuto momenti magici ed indimenticabile, come quando abbiamo diviso il palco con Bruce Springsteen, Southisde Johnny, Elliott Murphy, Michael McDermott, Alejandro Escovedo, Willie Nile, Jesse Malin e tanti altri. Ma la cosa più bella rimane il nostro pubblico, davvero fedele ed appassionato” (Miami & The Groovers)

“Come tanti musicisti non riesco a stare fermo, la vita scorre troppo velocemente per starla a guardare. A volte ci si piange addosso perché si suona poco e non si trova disponibilità nei locali dove imperversano le tribute band perché il pubblico è troppo pigro e vuole musica da jukebox. Il disco è stato una bella scommessa, ma ha avuto recensione entusiastiche, persino in America, ed è questo che ti fa andare avanti: il mio prossimo cd è già pronto per essere inciso”. (Cesare Carugi)
In Italia ci sono buone band ma manca una vera scena rock. La stampa è sempre stata molto diffidente e ancora adesso tende a ghettizzare le band italiane che suonano rock, soprattutto quelle che cantano in inglese. Il pubblico è più aperto e molto appassionato ma numericamente ristretto. Le premesse ci sarebbero, ma servirebbe una presa di coscienza: alcune band italiane sono superiori a band americane o inglesi che tuttavia sono più osannate e promozionate. C'è provincialismo, soprattutto da parte dei mass media e questo impedisce di allargare la cerchia. Le cose più belle di questo mestiere sono l’affetto dei fans, l'armonia all'interno della band, la stima che i Cheap Wine si sono guadagnati anche all'estero. E la voglia di suonare che aumenta giorno dopo giorno sempre con rinnovata passione. Siamo al nono album e se li ascolto li amo ancora tutti quanti perché rispecchiano appieno il nostro percorso e il nostro spirito” (Cheap Wine)

“Esiste un circuito "indipendente" nella vera accezione del termine che racchiude rock, blues, americana, e che si fa spazio con credibilità ed energia che sono apprezzate anche (o quasi soprattutto) fuori dai confini. Gente che si mette in gioco su ogni palco e soprattutto non si guarda le punte dei piedi quando suona perché fa figo. Nel nostro disco abbiamo messo il blues a servizio di problematiche più che mai attuali quali il lavoro nero, la precarietà, le morti bianche, le discriminazioni sociali. Il disco ha ricevuto il premio "Fuori dal controllo" del MEI e ci ha portato a rappresentare l'Italia all'International Blues Challenge di Memphis nel 2011. È stata un’esperienza pazzesca suonare quattro date a Memphis”. (Daniele Tenca)

“Una scena rock qui in Italia c'è eccome, ma striscia nell’underground, quasi inosservata ai più. Credo che l'orecchio dell'ascoltatore medio italiano sia un po' troppo anestetizzato dal prodotto commerciale che la radio nazionale spaccia come unico rimedio al silenzio assoluto. Questo atteggiamento purtroppo crea una insana reazione a catena che influisce negativamente sui musicisti di talento, di quelli che avrebbero qualcosa da insegnare... gruppi come I Pan del Diavolo, A Toys Orchestra, Operaja Criminale, Il Disordine delle Cose, o tra i cantautori Giovanna Lubjan, The Niro, Naif Herin, Renzo Rubino; tutti artisti bravissimi che, in un altro momento storico e soprattutto in un altro paese, avrebbero già avuto la meritata visibilità. La vita del musicista in Italia è da inventare giorno per giorno: ci vuole fantasia nel creare la propria strada. Di fronte a tanta offerta di musica e di belle canzoni, tante realtà di supporto a tutto questo chiudono. Penso a due esempi eclatanti: la Casa del Disco di Como che era un centro culturale più che un vero e proprio negozio o Dolphin Discs a Dublino, segno che non solo in Italia la musica oggi viene fruita male. Speriamo fra un anno di parlare ancora di Record Store Day” (Mardi Gras)

giovedì 17 ottobre 2013

Claudio Milano > Bath Salts



Sono tempi duri per essere un cantante, in quello che una volta era definito il Paese della musica, figuriamoci per un musicista sperimentale. In passato Demetrio Stratos, Francesco di Giacomo, Bernardo Lanzetti ebbero alle spalle gruppi come Area, Banco e PFM e soprattutto gli anni della musica progressiva. Già in epoca di new wave un cantante come Faust'o non trovava uno spazio sul mercato.
Claudio Milano, già noto con il suo gruppo dei Nichelodeon, sembra deciso a fare una sintesi del proprio percorso musicale e realizzare il suo Blonde On Blonde con un doppio CD intitolato Bath Salts, a sua volta diviso in due capitoli: D'Amore e di Vuoto - Di Guerre e di Rinascite.
Avanguardia. Musica sperimentale, ma potremmo anche semplicemente definire le sue canzoni non convenzionali.
Canto creativo e fantastico. Con una grande voce, che richiama ognuna di quelle citate in apertura, Francesco di Giacomo sugli altri. Sarà per questo che, sia pure nell'originalità delle sue composizioni, i profumi che provengono dalla cucina sono quelli di Kurt Weill e Bertol Brecht, il primo album del Banco del Mutuo Soccorso, Alberto Camerini, persino Hammill e Bowie e, perché no? Milva, Carmelo Bene e il Renato Zero di Nightmare Before Christmas.
Le canzoni di Claudio Milano sono minimali, profonde, emozionanti, oniriche, magiche, accompagnate dagli strumenti dei NichelOdeon: piano, arpa, campane tubulari, percussioni, come pure elettronica ed iPad.
Per quanto inusuali le sue canzoni non sono affatto ostiche, solo a volerle ascoltare. Semplicemente non sono banali, totalmente non banali, ma non c'è nessuna controindicazione a lasciar suonare il suo disco anche di fronti agli ospiti.
Non mancano le cover, come (This Side Of) The Looking Glass, una delle migliori composizioni di Peter Hammill, in una allucinata versione filtrata dalla personalità di Milano.
Per completare il suo opus magnum, Claudio ha voluto creare anche un box che comprende addirittura un ulteriore doppio CD, più spigoloso, intitolato L'Enfant et le Ménure, cui hanno collaborato fra i tanti addirittura Trey Gunn e Pat Mastellotto, Walter Calloni e Paolo Tofani degli Area, Ivan Cattaneo, che comprende Venus In Furs dei Velvet Underground, Song To The Siren di Tim Buckley e Warsawa del Bowie di Low.
Dovendo scegliere, consiglierei di partire dal primo, Bath Salts.

(Per quanto mi riguarda, questo disco finisce fra preferiti del mio anno musicale)

lunedì 2 settembre 2013

fanzine


Abbiamo fatto il punto del primo anno di Little Italy con una fanzine di otto pagine in formato pdf. Un regalo per i nostri lettori, da scaricare a questo indirizzo.

Long may you run... 

mercoledì 28 agosto 2013

Cesare Carugi > Pontchartrain



Con il suo disco d'esordio Cesare Carugi, aveva messo in chiaro di candidarsi al ruolo di miglior autore nazionale di canzoni. Pontchartrain, in questo finale d'estate 2013, conferma tutto il suo talento e aggiunge qualche cosa. Aggiunge l'accompagnamento di una band di rock delle radici come i Mojo Filter, ed aggiunge la straordinaria atmosfera rarefatta, nebbiosa, romantica, che accompagna l'ascoltatore dalla prima all'ultima delle dodici tracce di un album rock che sa di legno, terra, cielo, nuvole e della malinconia del lago della Louisiana da cui prende il titolo.
Non solo un grande autore ma ha anche una grande voce, Cesare, una voce profonda, vibrante, evocativa, abbastanza personale da non ispirarsi a nessun cantante né oltreoceano né oltremanica - ma se proprio dovessi fare un nome per dare un'idea al lettore, quel nome sarebbe Lloyd Cole.
Parte forte con le chitarre elettriche di Troubled Waters, che pompa come un John Hiatt d'annata. Poi sono ballate su ballate, chitarre acustiche cesellate dai tocchi di un'elettrica (come in Long Nights Awake) o un violino (Drive The Crows Away). Ballate appassionate (Carry The Torch) e gighe infuocate (la title track). Quando arrivando alla dodicesima traccia già siamo convinti di aver messo le mani su uno dei migliori dischi rock dell'anno, Cesare ci accomiata assicurandoci che We'll Meet Again Someday, in un trionfo, un brano che potrebbe essere uscito dalla penna di zio Bob (Dylan) - o come dice Zambo, di John Prine - che se Cesare fosse americano non mancherebbe la top ten di Billboard.
Nessun amante della musica rock, che lo sia del West, del Village o di Camden Town, può permettersi di non ascoltare questo Pontchartrain. E difficilmente non se lo porterà a casa, per trovargli un posto speciale nella propria raccolta di dischi.

martedì 30 luglio 2013

Lorenzo Bertocchini > Bootcut Shadow



Anche se il campanello di casa è a Varese, Lorenzo Bertocchini è un musicista noto sulla scena dei songwrites della east coast, quella del Greenwich e di Asbury Park, dove Lorenzo è di casa. Con i suoi Apple Pirates aveva registrato l’ottimo Uncertain Texas un paio di anni fa. Oggi torna con un altro album da urban cowboy, Bootcut Shadow. Il disco gira attorno ad una grande ballata elettrica, la lunga ed affascinante Cowboy che apre il disco, sottolineata da un assolo di sax di Phil Brontz. Lorenzo ha una grande voce e una ottima band, e le sue canzoni sono brillanti, e non possono non portare alla mente l’atmosfera di Steve Forbert.
Bertocchini canta in inglese e gli piace raccontare delle piccole cose della vita quotidiana, con un pizzico di humor e strizzar l’occhio al pubblico. Probabilmente canzoni sulla suocera in auto (ma ci aveva già pensato Springsteen), sulla fidanzata che prende la patente ma non guida poi tanto bene, sul raffreddore funzionano bene sul palco dei club americani, e strappano una risata al pubblico. Però la musica rock vive anche di una sua epica, e su disco questi temi abbassano un po’ la tensione: ai tempi dei vinili probabilmente avrebbero trovato posto come retro dei singoli. Il meglio piuttosto salta fuori nelle ballate romantiche come la citata Cowboy, Payphones e Four In The Morning. Belle le due cover, Coffee Break di Willy T. Massey e Workin’ At The Car Wash Blues di Jim Croce. I Remember è un duetto springsteeniano con Jennifer Sofia, More and Less cita Jackson Browne, la conclusiva On A Night Like This è un omaggio a Dylan.
Un ottimo cantautore rock, un disco brillante.

sabato 27 luglio 2013

Luca Rovini > Avanzi e Guai



Luca Rovini è un giovane toscano che di (secondo) mestiere, quello della passione, fa il liutaio ed il cantante. Costruisce chitarra su misura e ci suona il folk, il blues, la musica delle radici. Cantante folk a modo suo: folk americano del sud cantato in italiano. Cita Bob Dylan (credevo che Scoppia la testa, il brano che apre il disco, fosse del padrino americano), si ispira a Bennato, a De Gregori, a Rino Gaetano, in un’occasione (Sguardo di Pietra) anche a Mannarino. I suoi temi sono quelli degli hobos: la strada, la polvere, la strada, le persone, la strada, la vita, la strada, l’amore. Minimale, intenso, divertente, Avanzi e Guai è un disco che non si prende sul serio fino in fondo, ma ha la sola pretesa di divertire. Lui, Luca che lo canta e lo suona assieme al chitarrista Claudio Bianchini, e noi, il pubblico che abbiamo la ventura di ascoltarlo, il disco o il live show. Se dobbiamo reinventarci il rock a dispetto dei media, delle radio, della TV, delle riviste, di questi tempi senz’anima per banchieri e truffatori, le nostre radici partono anche da qui, dal folk da respingenti di Luca “Woody” Rovini.  
P.S.: l’ultima traccia, strumentale, si intitola Late Night Blues For Willy DeVille. 

Blue Bottazzi 


Il sig. Luca Rovini, di Cascina in provincia di Pisa, capello rock, occhiali a specchio e basette alla Tony Joe White prima maniera, di mestiere fa il geometra, e nella sua professione gode di molta stima. A tempo perso Luca si diletta a vestire i panni del cantautore ed a costruire chitarre, da liutaio autodidatta ma che sa il fatto suo. Ed entrambi le passioni musicali amatoriali cominciano a dare i loro frutti. “Avanzi e Guai”, bello il titolo che hai dato al tuo album, maestro, ma, considerando che su dieci brani ben otto evocano, percorrono, sognano, benedicono, maledicono e bestemmiano la strada, in senso reale e metaforico, forse sarebbe stato meglio dedicarglielo! Devo dire che, per quel poco che conosco il personaggio (un amico, purtroppo ancora e solo, virtuale), il lavoro, autoprodotto, da lui stesso registrato e masterizzato, sembra un compendio di tutto ciò che ha ascoltato ed ascolta, dei suoi musicisti preferiti, aree geografiche americane comprese. In tutti brani, firmati di suo pugno, ci vedo e ci sento il Dylan con chitarra acustica a tracolla ed inflessione di voce dei tempi pre-elettrici, tracce del suo beniamino Willy DeVille, la crema del cantautorato texano della fine degli anni Settanta (gli artisti introdotti dal Mucchio, per intenderci), i musicisti di strada (appunto!), qualche riff di blues rubato più ai bianchi che ai neri e persino, perché no, i menestrelli nostrani romani, napoletani e lombardi. Ed uno stillicidio di emozioni che sprizzano in ogni direzione, tanta è la partecipazione ed il coinvolgimento mostrati dall’artista in ogni istante. Mi piace, e molto, la chitarra solista slide ed il dobro (manco a dirlo costruiti dal nostro), nelle mani dell’amico di lunga data Claudio Bianchini: hanno un che di arcaico, semplice (ma solo in apparenza) ed immediato e si dimostrano efficacissimi, con note vellutate o graffianti, molto spesso in completa sintonia coi testi rigorosamente in italiano e quasi sempre introspettivi con scarsi agganci al territorio di provenienza (come invece farebbe supporre la bella copertina vintage). Le composizioni sono notevoli: le mie preferenze vanno a “Scoppia la testa”, “Sporca danza”, “Tra la polvere ed il cielo” e, con particolare riguardo, alla strumentale “Late Night Blues, For Willy DeVille”, un omaggio al compianto artista, molto cooderiano nella struttura e nelle atmosfere, eseguito da Luca in completa solitudine. Forse, e questa è solo un’impressione personale e non una critica, i brani risultano troppo lunghi in un album dove l’accompagnamento acustico ha un parte predominante: nello spazio di quattro o cinque minuti di acustica e voce, pur ravvivato ed intercalato dal guizzo delle parti soliste, se non sei un mago rischi di annoiare a morte l’ascoltatore. Tirando le somme si ascolta un bel disco, piacevole, spontaneo, a volte innocente, a volte sarcastico con punte di ironia ed autoironia, anche se non del tutto originale. Reperibile dal primo maggio in digitale su iTunes, Amazon, ecc. Porgete orecchio, noi intanto “ci vediamo stasera su una vecchia strada… blueeeee…s…”.

Pierangelo Valenti 

martedì 26 marzo 2013

Winterland, Cesenatico (Miami and the Groovers)


Non c’ero al Winterland di San Francisco il 25 novembre del 1976, ad assistere all’ultimo concerto di The Band, con una tonnellata di ospiti loro amici, da cui Martin Scorsese trasse il film The Last Waltz. Ma ero il 23 ed il 24 marzo 2013 al Teatro Comunale di Cesenatico per No Way Back, il concerto per registrare il disco ed il film dal vivo di Miami & The Groovers, con gli ospiti loro amici.
Il paragone non è peregrino, anche se The Band chiudeva i battenti mentre i Groovers sono in pieno decollo, e se i primi ed i loro amici erano le più celebri rock star d’America questi sono i più amati rocker della scena di Little Italy. Una cosa sicuramente è in comune: la passione, quella della band e quella del suo pubblico. È un’esperienza a cui non sei abituato, nemmeno se sei nel rock da quarant’anni come me, quella del rapporto fra Miami & The Groovers ed il proprio pubblico. Sold Out da settimane, già da ore prima dell’inizio dello show, in un’aria di mare fredda e piovosa da tramontana, si avvicinavano al teatro i fan, e li riconoscevi subito: sorridenti, ragazzi dai venti ai sessant’anni, zainetti, fidanzate, mogli, figli, si percepiva l’occasione importante, della celebrazione, della festa rock. Il tempo di ritirare i biglietti, riempire un po' lo stomaco con una piadina e poi erano tutti al banco del merchandising, a salutarsi, sbirciarsi, informarsi, sorridersi, cercare con gli occhi i musicisti, prima di prendere posto nel graziosissimo teatro dove in tanti lavoravano da una giornata perché tutto funzionasse e alla fine potessimo celebrare il ricordo dell’evento con un disco e magari un film.
Tanti ospiti, ad accogliere musicalmente il pubblico (fra gli altri Daniele Tenca il primo giorno ed Hernandez & Sampedro il secondo) e poi a dividere il palco con la band.
Un anno prima Miami & The Groovers presentavano al proprio pubblico nello stesso teatro il nuovo disco, Good Things, cose buone, buone nuove. Già allora erano Local Heroes, nomi importanti sulla scena dell’East Shore. Da allora un endless tour di cento show in un anno, e l’ottima accoglienza del disco, hanno ampliato il numero dei fan, del pubblico che li ama, che li segue nei teatri come nelle birrerie fino ai concerti sulla spiaggia, un pubblico che è parte della loro stessa scena, delle loro serate, della loro vita, persino dei testi delle loro canzoni. Così eccoli in piedi, con le magliette, a cantare a squarciagola i cori, a riprendere in coro le canzoni dopo che sono terminate per far tornare Lorenzo Semprini, il cantante, al microfono, un po’ al contrario di quello che accade normalmente.
Nonostante la perfetta rodatura dei cento show in un anno, Lorenzo & i Groovers salgono sul palco con il cuore che batte a mille, perché sentono l’importanza dell’evento, oltre che la presenza delle telecamere. Per questo la prima serata (il sabato) è più “festosa”, con qualche inconveniente tecnico e con tanta voglia di piacere e di far festa, fino ad invitare il pubblico sul palco per cantare (e registrare) l'inno di We’re Still Alive. Più potente la seconda serata (o per meglio dire: il pomeriggio della domenica), con la band più rilassata e di conseguenza più solida e coesa, più cool e meno piaciona, con versioni di ogni canzone migliore che su disco, con qualche vertice come l’iniziale Always the Same, con gli scatenati ed applauditi assoli di chitarra di Beppe Ardito (che comprendono persino citazioni di Chuck Berry e Jimmy Page), con il gran lavoro di tastiere di Alessio Raffaelli (in comune con un’altra band di culto della scena di Little Italy, i Cheap Wine di Pesaro), con il boom boom implacabile dei tamburi di Marco Ferri, un vero robocop del ritmo, che lungi dallo stancarsi avrebbe proseguito lo show (di tre ore per set) per altre dodici!

lunedì 25 marzo 2013

dove abita il rock?


Non mi pare che il rock siano i collezionisti, quelli che acquistano le preziose ristampe in edizione speciale in vinile, quelli che possiedono l’edizione canadese e quella americana, quelli che leggono i cataloghi degli importatori. Nemmeno gli audiofili noiosi dello spettro sonoro e della separazione degli strumenti, e tanto meno gli hard-core fan, come quegli springsteeniani che seguono gli E Streeters anche all’estero ma poi non vanno a vedere altro e non acquistano altro, che a vedere Carolyne Mas arrivata da lontano eravamo in trenta, mentre loro fanno il karaoke con Thunder Road
No, il rock sono quei ragazzi, dai venti ai sessant’anni, che abbiamo incrociato a Cesenatico allo show di Miami & the Groovers, quelli che fanno uno, dieci, cento, duecento chilometri per supportare la loro band. Quelli che amano il rock, che lo ascoltano dove possono, che se possono comprano il disco, che la sera non stanno in casa a guardare la TV ma escono a cercare musica e a cercare la vita perché, come dice Lorenzo in Merry Go Round, la vita è un giro di giostra che vale la pena di provare a vivere, con gli inevitabili errori e dolori -- non di limitarsi a sopravvivere…

mercoledì 13 febbraio 2013

Hernandez & Sampedro > Happy Island


Mentre la scena rock americana e quella anglosassone languono, la scena rock italiana anglofona non smette di crescere e dimostrare energia e talento. Un ribollente vulcano di musica indipendente che, libera dai lacciuoli dei commercialisti delle case discografiche e della necessità di rincorrere una commercialità che non esiste comunque più a nessun livello, sforna a getto continuo nuovi talenti e ottimi dischi. Ma neanche i miei sogni più selvaggi potevano prepararmi al suono che esce dal CD Happy Island (Isola Felice) del duo Hernandez & Sampedro. Avete presente Decemberists, R.E.M., Counting Crows? Potreste raccontarmi che è il loro disco che sto ascoltando, ed anche in questo caso si tratterebbe di uno dei loro più soprendenti lavori: una fusione di cristalline chitarre acustiche ed elettriche, evocativi cori ricchi di energia, intense melodie dipinte dei colori del cielo infuocato del tramonto.
Luca Hernandez Damassa ha una voce degna di Michael Stipe, Mauro Sampedro Giorgi lo affianca ai cori e alle chitarre mentre Giuliano Juanito Guerrini e Guido Minguzzi li accompagnano al basso, batteria, percussioni  e tastiere. Le canzoni, tutte belle, sono opera originale del duo. Il suono è semplicemente perfetto, a dimostrazione che quando ci sono talento e passione non sono necessari studios a Hollywood, budget milionari e produttori rinomati per creare gioielli musicali; anzi, probabilmente è più vero il contrario. Il disco è autoprodotto dal duo indie rock di Ravenna e non c’è nessun indizio che non si tratti del più professionale dei lavori di una band americana.
Le canzoni sono dieci, come ai tempi dei Long Playing quando ce ne stavano cinque per facciata, tutte di altissimo livello, nessun riempitivo. Turn On The Light, sottilmente malinconica, potrebbe essere una bella bella canzone dei R.E.M.. Don’t Give Up On Your Dreams è un energico folk rock che evoca il west di Morricone. Happy Island è un delizioso lento con cori west coast ed una chitarra elettrica che naviga nell’anima. She’s a Woman è dolce, malinconica e intensa. The Sky the Water and Me sembra un hit radiofonico dei R.E.M.. Rain Doesn’t Fall è infuocata, con un gran accompagnamento di chitarre (“la pioggia non cade dentro la mia anima”).
Ray Of Light è una di quelle deliziose ballate californiane che si aprono con un gioco di percussioni e chitarre acustiche e cori. Cold Cold Cold in This Town è energica ed evocativa. I cori di Kinky Queen “when I found you, when I found you…” mi danno i brividi. The Hardest Way chiude il disco.

Queste canzoni hanno rinnovato in me la sorpresa e la delizia e l’ingenuo entusiasmo e l’evocativa energia di quando da ragazzo ascoltavo per le prime volte i vinili californiani marchiati Reprise o Asylum.

La scena del rock anglofono di “Little Italy” è viva e vegeta e continua a crescere, e questo Happy Island mi pare il suo miglior pargolo a tutt'oggi (disco dell’anno e dell’anno scorso e di quello precedente non solo della  scena italiana, ma di tutta quanta la scena rock...)
Fidatevi: indipendentemente dal fatto che sia un prodotto italiano, americano o australiano, non fatevelo scappare, dischi così se ne sentono pochi. E se non mi credete, ascoltatelo comunque: Hernandez & Sampedro vi sorprenderanno e vi delizieranno.

P.S.: dove comprare il disco? Dal 1 marzo su Amazon, iTunes oppure chiedete al vostro venditore di dischi di ordinarlo al sito del gruppo.

PS2: il disco è stato ristampato dalla Route 61 di Ermanno Labianca.

Blue Bottazzi

venerdì 25 gennaio 2013

Amerikan Tales by Miami & the Groovers

Highlights di un tour tra Nyc ed Asbury Park, di Lorenzo Semprini:

- La tipa ubriaca sul volo Amsterdam-Nyc...vino e vino e vino ed ancora vino...
- Il tipo di fianco a me, canadese con origini indiane, che mi chiede con sorpresa "Ma è vero che B. si vuole ricandidare?"
- L'arrivo al Jfk...ma appena ti rilassi vedi 1 h di fila che ti aspetta al controllo dell'immigrazione. E pensi a coloro che migrano per esigenze non vacanziere...e allora ti rendi conto che la parola "benvenuto" dovremmo spenderla più spesso.
- ok il bagaglio c'è air trai+subway senza dimenticare la Metrocard
- finalmente esci dalla stazione e trovi il "Flatiron" che incombe su di te
-Il Walcott hotel sulla 31a strada...nella hall scopro che Buddy Holly nel '58 è stato lì
- La camminata fino all'Hard rock cafè sulla 42a
- Il Light of day con Joe e i Caravan, Willie e la sua band, Gary Us Bonds
- Il backstage dell'Hard rock cafe, venire accolti da sorrisi abbracci e saluti
- Suonare due pezzi con Joe con la sua Gretsch
- Il set di Willie Nile che spacca...Matt Hogan chitarrista straordinario e Johnny Pisano il miglior bassista rock che abbia visto
- Gary Us Bonds...out of work, rendezvous, new orleans, jole blon ma soprattutto una gran versione di My Girl di Otis Redding e Daddy's come home...pezzo meraviglioso
- L'incontro con gli amici di sempre Rob Ely ed Ema
- La camminata notturna e il panino al pollo dal cinese
- Il sole e freddo digeribile
- Girare il giorno dopo a Nyc tra Chelsea, Village, Lower east side e Bowery
- Crollare di sonno al pomeriggio
- La cena (conto salato) di giovedi sera
- Affittare la macchina parlando via skype da un cabinotto della Hertz
- Uscire e guidare da Manhattan e prendere l'Holland Tunnel
- New Jersey Turnpike e Garden Stateway park...
- Arrivare alla Quinta Inn a West Long Branch e scoprire che è a due passi dal Monmouth Mall
- L'arrivo sempre emozionante ad Asbury Park
- Le prove in camera con Pat the soul cat e le interviste con lui e Joe per il dvd
- La serata allo Stone Pony: suonare l'armonica con Daniele Tenca, duettare con Pat the soul cat su The promised land, ricevere i complimenti
- Ascoltare e vedersi un sacco di Asbury sound
- La registrazione di Asbury Angels...one more light!
- JT Bowen sul palco....gran voce
- I personaggi dello Stone Pony
- Il finalone con Boccigalupe e la guest di Bobby Rydell che intona pure "Volare"...
- Gli hot dogs di Windmill nel backstage

Lorenzo Semprini

giovedì 24 gennaio 2013

Daniele Tenca - Wake Up Nation (Route 61)



Wake Up Nation, Svegliati Nazione, è il terzo disco di Daniele Tenca, milanese già leader di una cover band di Springsteen ed oggi bluesman fra John Lee Hooker e un Nebraska in versione elettrica. Blues For The Working Class era dedicata ai morti sul lavoro; Live For The Working Class è (forse) il suo lavoro più coinvolgente, libero di galoppare nella dimensione del live show con una ritmica diesel ed una chitarra solista che rincorre (da vicino) Mick Taylor o Eric Clapton.
Wake Up è un disco deciso, essenziale, granitico, potente, minimale nella formula chitarra elettrica ritmica, basso e batteria e naturalmente la solida voce americana di Tenca. Non ci sono svolazzi, armoniche di troppo e neanche spazi per i solismi. C’è un solido boom boom boom a sostenere testi sociali su una società distopica che stritola le persone. Siamo immersi in un clima elettrico notturno che mischia con decisione lo Springsteen di State Trooper e Johnny 99 ai ritmi sintetici di Suicide (Default Boogie, Wake Up Nation). Insomma, un disco affilato che non si limita a citare il rock blues ma ne usa la sintassi per creare un rock contemporaneo quanto potente. Per inciso, è un nuovo prodotto della coraggiosa Route 61, l’etichetta di Ermanno Labianca. Segnalo anche il conflitto di interessi del mio nome fra i ringraziamenti nel libretto, che altro non è che il segno di un sogno comune condiviso fra musicisti, ascoltatori, fotografi e cronisti musicali della scena di Little Italy.

Blue Bottazzi