martedì 23 dicembre 2014

Antonio Rigo Righetti


« Amo il mio mestiere. 140 date circa, tra esibizioni acustiche, in duo, in trio o quartetto...
un buon anno questo 2014: tanta strada, tante persone appassionate incontrate, tante canzoni, la reunion dei The Rocking Chairs, un nuovo cd in uscita a gennaio, precisamente il 15, e tanti sogni e idee per il nuovo anno.
Certo, se non fosse che amo questo lavoro alla follia, il gioco non varrebbe la candela... le rinunce da accettare e fare sono tante, tantissime...
ma qualcuno deve pur farlo...
non è possibile che l'aspirazione massima del musicista medio italico sia fare Sanremo o un reality; non è possibile che il sogno divenga quello di farsi giudicare da qualcuno che non ha anima ma p.r.; non è possibile affondare ancora più profondamente nelle sabbie mobili dell'ignoranza...
Sapere che accanto a me, oltre alla mia Luce e al mio rapper scatenato ci sono
Robby Pellati
Frank Ricci Group
Franco Anderlini
Mel Previte
Edward Abbiati
Tommy Graziani
e tutti quelli coi quali si suona aiuta...
Così come aiuta sapere che la vostra stima è immutata,
che non giudicate la musica coi numeri ma dalla quantità di anima che viene esposta,
che non vi interessa di doverci venire a scovare nei luoghi più impensati...
Grazie a tutti voi, cari rockers e rockeuse, this one for you...
segnatevi queste due date
3 gennaio 2015 RIGO'S BIRTHDAY LIVE@PERNILLA MODENA superJam Band all night
5 gennaio 2015 RIGO'S BIRTHDAY LIVE@STONES CAFE' si suona dalle 3 alle 4 ore...rock on! »

Antonio Rigo Righetti

lunedì 22 dicembre 2014

Lowlands > Love etc...


Questo 2014 è di certo l’anno di Edward Abbiati. Dopo l’ottimo disco in coppia con Chris Cacavas dei Green On Red, quel Me and the Devil che riporta alla mente l’epopea della new wave del west degli anni ottanta, lost week-end e compagnia, ora Ed e la sua band, i Lowlands di Pavia, se ne escono con lo splendido Love etcetera.
Se esiste un sound di Little Italy, è il suono di questo disco. Qui c’è tutta l’ispirazione del Village e del Jersey Shore degli anni settanta, il suono di Steve Forbert, Willie Nile, Elliot Murphy, Bruce Springsteen & the E Street Band. E naturalmente il suono della SS45, la via Emilia, e dei Lowlands.

Un disco spigliato, spensierato, di piccola sottile poesia e tanta allegria. Edward che canta e suona la chitarra acustica sopra un evocativo accompagnamento di una sezione di fiati e persino di archi, che non può non evocare lo shuffle della E Street Band di Greetings e di The Wild & The Innocent, con la bella ritmica diretta dal Rigo Righetti, la fisarmonica, la chitarra elettrica e tutto il resto. E, lasciatemelo dire, anche il Van Morrison di Moondance. È poco?

Le canzoni sono davvero belle, è un disco che lascio suonare di più sullo stereo, a ripetizione, e non c’è un ascoltatore che ne rimane indifferente.

Bella l’introduttiva How Many, che più delle risaie pavesi disegna lo skyline di New York City.
Bella Love Etc..., che si apre vagamente come la Can’t Help Falling In Love fatta dal Boss.
Delicata I Wanna Be, lievemente jazzata come lo shuffle della E Street dei primi giorni.
Divertente You Me The Sky and the Sun, vagamente rock’n’roll degli happy days.
Intima You and I, cesellata da piano, violino e violoncello.
Un rag metropolitano Happy Anniversary, con i fiati e i cori.
Cinematografica Can’t Face The Distance, con il lamento di un armonica.
Una ballata vivace Wave Me Goodbye.
Bluegrass urbano My Baby.
Orecchiabile e radiofonica Doing Time.
Una ballata al tramonto Still I Wonder.
Poetica la fisarmonica di Goodbye Goodnight, un brevissimo lento che prende commiato lasciandoci la pelle d’oca:

« Addio, buona notte, non c’è niente che avremmo potuto fare 
abbiamo fatto del nostro meglio per costruire il nostro nido 
addio, buona notte... »

Un disco che sarebbe un gran lavoro anche se fosse americano. Anzi, soprattutto se fosse americano. Perché in America di dischi così ormai se ne fanno pochini. Ascoltatelo.



giovedì 20 novembre 2014

Paura di volare


Cari musicisti italiani, 
siete molto bravi. Sapete suonare, a volte sapete cantare, spesso sapete scrivere le canzoni. Però non ne volete sapere di inventare: i vostri arrangiamenti sono rigorosamente quelli dei vecchi modelli, le vostre formule sono rigorosamente ortodosse. 
E l’invenzione? Ed il coraggio? Perché non vi viene voglia di provare coro differente, uno strumento bizzarro, una canzone che non sia già stata scritta nel New Jersey? 
Avete mandato a memoria Springsteen, Willie Nile, Steve Forbert. Perché non ascoltare anche Sgt.Pepper (non serve troppo coraggio: dopo tutto ha quasi 50 anni...) ?

sabato 15 novembre 2014

la première del reunion tour dei Rocking Chairs


È un umido pomeriggio di una stagione che si appresta a diventare inverno, quello nel quale punto verso Modena, per un’occasione molto speciale. Siamo a metà novembre e non manca poi molto a Santa Lucia, la giornata più breve che ci sia. Ed infatti viaggio già al buio, lungo la A1 affollata come al solito di anime rassegnate di pendolari delle quattro ruote che si muovono per questa via Emilia del nuovo secolo.

“ Luci che si accendono sulla strada e via, i fari delle macchine lasciano una scia
di desideri quasi realizzati, di verità e bugie
su questa antica carreggiata, su queste due corsie, che sono tue e mie...” 

Verità e bugie... l’ultima volta che ho percorso questa strada per la stessa destinazione ero con la mia Musa, oggi sono solo. Anche se gli anni mi hanno insegnato a non dar fiducia alle parole delle donne (che più che per dire servono ad ottenere, fosse anche solo consolazione), mi prende un po’ di malinconia in questa solitudine inscatolata sulla mia vecchia auto fra tante altre auto - ancora di più quando addento un panino molle all’autogrill “Secchia est”.
Ma il posto dove sono diretto non è l’Heartbreak Hotel, ma è invece uno dei luoghi più deliziosi che mi sia dato di conoscere: si chiama proprio Il Posto, è la bomboniera di Rigo Righetti e di Francesca Vecchi, un rifugio di cinema, di arte, di musica. Un Posto dall’aria cinematografica, fra stanze in cui sono stipati costumi di ogni epoca, scarpette rosse femminili esibite in tortiere di cristallo, e specchi con scritte inneggianti a Willy DeVille ed i Sex Pistols. Nel salone ci sono il palco, gli amplificatori, il giradischi e le file di sedie e, of course, gli amici.
Il centro di Modena è come sempre affollato di giovani, e questo fa bene al cuore. Salgo gli scalini ed eccomi fra amici speciali e qualche VIP. Ci sono volti noti, artisti, fotografi, disegnatori, appassionati, ma soprattutto ci sono Graziano Romani, Robby Pellati, Rigo Righetti, Mel Previte, Max Grizzly Marmiroli e Franco Borghi. Sono i Rocking Chairs, un nome perso nella leggenda, il gruppo capostipite di tutta la vivace scena del rock anglofono italiano di questi anni duemila, che mi piace chiamare di Little Italy.


Nel 1990 sullo stereo della mia auto aveva un posto fisso la cassetta di No Sad Goodbyes, il loro terzo disco. Erano anni di crisi d’astinenza per Bruce Springsteen, che aveva sciolto la E Street Band e stava registrando il suo disco solista. I Rocking Chairs facevano sognare a noi rocker tutta la mitologia del rock romantico ed urbano di quegli anni, e ascoltando il loro disco, a circolare in auto per la via Emilia mi sembrava di percorrere la 101 in California o la New Jersey Turnpike sulla costa atlantica.
Ebbero un grande seguito di pubblico e arrivarono a registrare a New York e persino a New Orleans, con Elliott Murphy, Willie Nile, Robert Gordon, Bobby Bandiera. Memorabile la loro cover di Vagabond Moon di Nile. Ed il loro pubblico non li ha mai dimenticati.


Io stesso sono il primo ad aver auspicato il loro ritorno, ed è così un’occasione molto speciale questa in cui almeno un sogno si è sta avverando. Lo show ufficiale della reunion avverrà il 13 dicembre (Santa Lucia!) a Casalgrande, in Teatro (già sold out), ma questa sera di fronte ad un pubblico selezionato di amici invitati si tiene la première, una specie di prova generale.
Quasi per modestia il tema iniziale sarebbe quello di un tributo a Van Morrison, ed infatti lo stereo diffonde le note di Bring It On Home To Me dal vinile It’s Too Late To Stop Now, il capolavoro del rosso irlandese. Ma non è “The Man” che la gente vuole, ma i Chairs.


Così Graziano parte intonando proprio la cover di Sam Cooke, e poi Valery, dal primo album della band, e subito dopo Crazy Love, e si capisce da subito che il gruppo non è mai stato tanto in forma: come il vino buono si è trasformato da un frizzante novello ad un vino importante, di pregio. Xpensive wine. L’intimità del palco favorisce una musica a volume contenuto, dove si capiscono subito le caratteristiche della serata: una band molto potente ma anche rilassata, che pare di sentire i cori dei Little Feat che aprono Waiting For Columbus.
Robby, il batterista che ama la musica lirica, suona il rullante, in un’occasione solo con mani; il sax di Max (sulla destra) e la fisarmonica di Franco (in stereo, sulla sinistra) conferiscono una gran profondità al suono. La voce di Graziano è in forma smagliante, non è mai stata tanto buona e profonda. Mel è il più rockettaro, mentre imbraccia la Telecaster seduto sull’amplificatore. Rigo è un gran bassista, senza complessi di inferiorità verso nessun grande delle quattro corde.


Arriva addirittura Caravan, come nel Last Waltz, con il Graziano che pur seduto scalcia nell’aria. Camden Town, ancora dal disco d’esordio ma in versione rock’n’roll, e quando arriva No sad Goodbyes sono in trance: non l’ho mai udita così bella e di certo non credevo in cuor mio che l’avrei mai sentita dal vivo.
Hate & Love Revisited, Burning ed il gran finale sulla ballata romantica di I Will Be There Tonight.

Graziano ci racconta di aver preso la decisione di essere il cantante di una band mentre tornava in pullman da Zurigo, dopo aver assistito allo show di Bruce Springsteen e la E Street Band all’Hallenstadion. Ma dopo tutti questi anni non ci sono più riferimenti musicali esotici per i Rocking Chairs: né Springsteen, né Van Morrison, né Willie Nile: ora il sound è solo Rocking Chairs certificato al 100%. Una band adulta, piena, ricca, che suona con molta maturità ma anche con tanto entusiasmo. Che sta per riversare sul pubblico per il Reunion Tour per tutto il 2015.
Non me ne vogliano i tanti amici delle band italiane, ma i Chairs sono il numero uno: volano alti. Ed in cuor mio mi auguro che l’intimità sonora a cui ho testimoniato non vada perduta nel festoso rock’n’roll show nei teatri.


Alla fine abbraccio tutti, che mi hanno regalato una grande estasi, che in qualche modo paragono a quella provata per i grandi Roger Daltrey e Wilko Johnson sul palco dello Shepherd Bush all’inizio di questo stesso anno.
Robby Pellati mi fa dono delle sue bacchette, ed io il giorno dopo entro da Music Land per comprarmi proprio un rullante: vuoi vedere che questa magica serata mi lascerà persino di più di quanto immagino?
Ritorno solitario lungo le corsie dalla via Emilia, non la SS9 ma la A1, con la luce della riserva accesa e Jackson Browne sullo stereo.

“Sempre dritto davanti a te, sembra non finire mai
ma quante gomme a terra e quanta nebbia e in mezzo noi
Non fermiamoci finchè un altro giorno ci troverà correndo sulla Via Emilia” 

(le fotografie belle sono di Gabriella Ascari, quelle con un iPhone le mie)


lunedì 10 novembre 2014

Cheap Wine > Beggar Town


Vent’anni e dieci dischi per i Cheap Wine, la più longeva delle band di Little Italy. Partivano nel novanta con un infuocato punk rock ispirato alla scena Paisley Underground dei Dream Syndicate, da cui prendono anche il nome. Il torrido rock delle chitarre è rimasto nei live show, mentre questo Beggar Town è assai più tranquillo, introspettivo, lento, quasi un disco solista di Marco Diamantini, anche se non ho dubbi che le canzoni verranno vivacizzate in concerto.
In sala d’incisione la ritmica è tenuta a freno, così come la chitarra elettrica di Michele (sempre Diamantini) e le sempre ottime tastiere di Alessio Raffaelli. Qualche momento strumentale si elemosina nell’introduzione di Your Time Is Right Now e nel rock’n’roll di Black Man, mentre la voce di Michele arrotola le sillabe inglesi di molte molte parole (ma anche di Springsteen si diceva che scrive testi troppo lunghi). Keep On Playing mi ha portato alla mente persino la PFM degli anni settanta. Da come la vedo io, il disco decolla sul finale, nella eterea ballata di The Fairy Has Your Wings (For Valeria).

domenica 6 luglio 2014

Veronica Sbergia & Red Wine Serenaders


Ho (finalmente) visto Veronica Sbergia & Red Wine Serenaders in concerto!
Per essere precisi ho visto Veronica con Max De Bernardi, perché mancava alla formazione il contrabbassista Dario Polerani. Veronica & Max aprivano ufficialmente il festival blues Dal Mississippi al Po nella cornice, piccola ma oltremodo suggestiva, della Muntà di Ratt a Piacenza. M'aspettavo molto, ma i due sono stati addirittura superlativi, conquistando tutti il pubblico, sia quello seduto per l'occasione sia quello di passaggio in cerca di frescura.
Numero 1: Veronica e Max sono due virtuosi. Della voce l'una, della chitarra l'altro.
Con il suo fingerpickin' sulla steel guitar (o meglio resofonica: quelle grandi chitarre di metallo che amplificano il suono delle corde prima dell'arrivo della chitarra elettrica) il grande Max ha evocato John Fahey in "la resurrezione del tasso del miele" ("una canzone strumentale, perché che parole ci metti ad un titolo così?"), Ry Cooder e gli originali virtuosi del blues fino a echeggiare persino il rhythm & blues elettrico di Bo Diddley, trascinando lo show. Dal canto suo Veronica ha fatto sfoggia di una voce impressionante quanto flessibile: se il tema di base è il blues e l'old time music fino allo swing, ci sono stati momenti in cui è stata evocato persino il fantasma della grande Janis Joplin. E nel suo nuovo disco canta persino uno splendido brano folk.
Lungi dal basare lo show sul virtuosismo naturale, Veronica ha mostrato una grande simpatia ed ha coinvolto il pubblico con tanti racconti fra le canzoni, che se da un lato stemperano il climax dall'altro sono efficaci nel coinvolgere anche il pubblico più casuale.
Ho sentito le mie canzoni preferiti (come quella One Of These Days che fu del grande Armstrong) e quelle nuove. Molto belle anche quelle uscita dalla penna dei due musicisti, come The Mexican Dress. 


Da sottolineare che non solo i Serenaders stanno battendo le piazze italiane, ma che in realtà sono persino più spesso in tour al'estero, dall'Europa agli States, che è la patria della loro musica. È appena uscito il nuovo disco, The Mexican Dress, di cui riporto la recensione di Pierangelo Valenti, che più completa non si può:

Grazie alla raccolta fondi tramite Musicraiser, andata oltre ogni più rosea aspettativa, abbiamo finalmente tra le mani, giunto a noi in tempi rapidi (oserei dire addirittura fulminei) “The Mexican Dress”, il nuovissimo album di Veronica & The Red Wine Serenaders. Per chi si fosse sintonizzato da poco ricordo che il gruppo, un micidiale concentrato di forme anche arcaiche, urbane e rurali, di blues, jazz, ragtime, old time e folk, comprende la splendida titolare (voce, ukulele, washboard ed ammennicoli vari), il professor Max De Bernardi (voce, chitarre resofoniche e non, banjo a sei corde) ed il solido punto di riferimento ritmico Dario Polerani (contrabbasso troppo spesso causa della mia invidia). Per l’occasione, riguardo la parte registrata negli States, il trio si avvale del talento di ospiti locali quali Joel Tepps (eccellente clarinetto in “Baby Please Loan Me Your Heart” di Papa Charlie Jackson, hidden track), Tom Hume e Denny Hall, polistrumentista, cantautore di razza (ben tre brani portano la sua firma) e leader dei The Nite Cafè. Sul fronte nostrano una vero gioiellino la prestazione di Massimo Gatti, insieme a Martino Coppo, Paolo Monesi e Josh Villa (ah, questi italiani partiti in sordina ed arrivati ai vertici!), uno dei mandolinisti più apprezzati dal sottoscritto e dal pubblico bluegrass e newgrass italiota ed europeo ormai da anni, qui in grandissima forma con due ispirati assolo nelle tracce frutto della collaborazione, per troppo tempo inedita e finalmente uscita di prepotenza alla luce del sole, tra Veronica e Max: la bellissima omonima composizione che dà il titolo al lavoro e “Crying Time”, uno swing che rimanda di prepotenza ad un verace country strappalacrime anni Cinquanta. Per chi conosce la band l’album, tra parentesi vestito di una grafica fresca ed appropriata, costituirà una straordinaria conferma di come questa musica, sia nel repertorio d’epoca che nei brani originali scritti ieri l’altro, sia viva, eccitante e stimolante. E’ vero, io sono di parte: con questi artisti, la loro sensibilità, la loro serietà, le loro scelte vado a nozze e non da oggi. Appena Max imbraccia una chitarra molto spesso io so dove va a parare perché molti dei suoi musicisti preferiti, che in qualche modo hanno influenzato la sua tecnica ed i suoi gusti, sono anche i miei, cercati e trovati in un percorso parallelo ed affascinante. Prendiamo qui una delle sue creazioni, il tour de force strumentale di “The Resurrection Of The Honey Badger”: ci sento intimamente le buone vibrazioni alla Elizabeth Cotten di “Vastopol” e “Spanish Fang Dang” o il Sam McGee delle classiche, una volta inarrivabili, “Buck Dancer Choice” o “Knoxville Blues”. Per tacere del divertente ed ironico hokum di “Banana In Your Fruit Basket” del campione Bo Carter (al secolo Armenter Chatmon), altra scelta quasi obbligata. E la signorina Veronica Sbergia? Cito solamente la sua fantastica, vissuta ed ammiccante riedizione di “Dope Head Blues” di Victoria Spivey… E’ uscito ufficialmente il 23 giugno. Fate la fila.

(Pierangelo Valenti) 

martedì 24 giugno 2014

Chris Cacavas Edward Abbiati Me And The Devil


La sezione ritmica di questo disco meriterebbe di essere tenuta più alta, come su un disco di rock psichedelico dei Fleshtones! Il disco in effetti stato registrato in cinque giorni in un fienile (o quasi) dalle parti di Pavia nell'agosto dello scorso anno.
Detto questo, le canzoni sono bellissime, le voci romantiche, le armoniche ed il sax evocativi, le tastiere struggenti, le chitarre affilate e malinconiche.
Me and the Devil è un disco che a dispetto della qualità sonora si avvicina molto ad essere un C A P O L A V O R O.
Frutto della collaborazione democratica fra il mitico Chris Cacavas dei mai abbastanza rimpianti Green On Red ed Edward Abbiati dei nazionali Lowlands, è un disco che non ti aspetti, che ti colpisce, ti sconvolge, ti arruffa, un disco che evoca nostalgie di un passato romantico fatto di dischi degli anni ottanta come Gravity Talks, The Lost Weekend, True Believers, Beat Farmers, (Fleshtones), (Del Fuegos), come pure il convitato di pietra, i Crazy Horse di Neil Young.
Un garage rock rurale psichedelico visionario come un film. Canzoni... 

(leggi tutto su BEAT

giovedì 12 giugno 2014

Mandolin Brothers Far Out


Una volta ho definito i Mandolin Brothers la The Band italiana. Uno dei più longevi gruppi nazionali, provenienti dalle risaie della bassa del Ticino, hanno realizzato lavori superbi come il relativamente recente 30 lives! in cui festeggiavano il trentesimo anniversario del gruppo mostrando una assoluta padronanza del suono della Cotton Belt, il rock che da The Band passa per i Neville Brothers per approdare a Little Feat e Ry Cooder.
Far Out, nella livrea verde che non può non ricordarci i pomodorini acerbi dei citati Feat, è bellissimo. Forse il vertice creativo della band ed uno dei migliori dischi anglofoni uscito nel nostro paese. Prodotto da Jono Manson, e con collaboratori come John Popper all'armonica ed all'apporto di una horn section, Far Out si eleva sui suoi modelli per creare un solido ed evocativo rock a marchio registrato delle chitarre, dei cori, delle armoniche, dei fiati, uno rock impressionista che dipinge bajou, delta, salici piangenti e i vasti spazi aperti dell'ovest. Una sequenza compatta di ballate rapide e di danze vivaci dall'allegria contagiosa, che si basano su uno suond collettivo e caldo come, per l'appunto, era quello della mai abbastanza compianta The Band.
È difficile accettare che di questi tempi ed alle nostre latitudini un disco come questo debba rimanere confinato ad una nicchia di carbonari, ma la buona notizia è che per vedere il azione il gruppo non è necessario salire su un Boeing ed un Greyhound, ma è sufficiente consultare il sito dei Mandolin e puntare poi il muso dell'auto verso le risaie.

lunedì 7 aprile 2014

Il Posto a Modena


Nel centro storico di Modena, sulla via Emilia, c'è un posto magico che si chiama proprio Il Posto. Di giorno è la base di Francesca Vecchi, costumista cinematografica, e non a caso Il Posto ha un'aria da film, fra stanze in cui sono stipati costumi di ogni epoca, scarpette rosse femminili esibite in tortiere di cristallo, e specchi con scritte inneggianti a Willy DeVille ed i Sex Pistols. Di sera diventa il regno di Rigo Righetti, marito di Francesca e bassista dei leggendari Rocking Chairs. Il suo posto è il salone con il palco, gli amplificatori, il giradischi e le file di sedie su cui, spesso e volentieri, prendono posto gli amici appassionati di musica e di cultura.
Siamo ospiti di Rigo e di Francesca in una bella serata di primavera, io ed Eleonora Bagarotti, per presentare il libro Long Playing una storia del Rock. Mentre il pubblico  arriva posizioniamo i libri un po' dappertutto e ci facciamo forza a bocconi di gnocco fritto (di Parma) e salume (di Piacenza). Manca solo la mortadella di Bologna...


Beh, Il Posto è il posto dove tutti noi vorremmo vivere o almeno passare le lunghe serate d'inverno. Sul palco prendono posto il Rigo con il suo basso Fender, Mel Previte alla chitarra elettrica e quel batterista fantasioso che è Robby Pellati. Claudio Ponzana legge brani del libro, io racconto, la band esegue delle cover di Heartbreak Hotel, Not Fade Away, Bye Bye Love, Summertime Blues e The Dock Of The Bay, che se li sentisse il regista David Lynch la loro fortuna sarebbe fatta. Sembrano i Blasters, ma meglio. Il pubblico ascolta con attenzione, Robby Menabue fa domande e Gabriella Ascari scatta le sue magnifiche fotografie: such a perfect night! Viene presentata anche Eleonora, più nota al pubblico dei mod, che incanta tutti con il suo innocente racconto del percorso che l'ha condotta da teenager groupie degli Who, ad amica intima di Pete Townshend fino a lavorare per la band britannica come addetto stampa ed infine scrivere la loro biografia italiana, Pure and Easy. Non l'avessi raccontato io, avrebbe omesso la parte in cui suona l'arpa nella edizione teatrale di Tommy o di quella sera in cui a Liverpool ha arrangiato l'album bianco dei Beatles per arpa di fronte a Ringo Starr.


Un posto da conoscere e frequentare Il Posto di Rigo & Francesca, e magari da prendere per esempio per le nostre grigie città qui alla periferia dell'Impero. Alla prossima.


P.S.: il libro a Modena lo trovate da Dischinpiazza.

sabato 15 marzo 2014

Tex Mex


La musica rock arriva dall'America e da questo punto di vista siamo certamente una colonia culturale americana. Al punto che distendendo la mappa si possono individuare delle vere e proprie corrispondente geografiche: il Jersey Shore sulla east coast romagnola, il Paysley Underground più a sud, la cotton belt in Lombardia. Il nord est è il territorio delle jam band della Georgia e della Florida alla Allman Brothers Band. Parliamo di WIND e di TEX MEX.
Escono due album dei Tex Mex, the best has yet to come e il live Hang Loose Tex Mex! forse anche per suggellare la fine di un periodo fruttuoso e la rinascita della band con una nuova formazione con l'arrivo del chitarrista Bobby Brown ed un nuovo nome, Ressel Brothers.

Entrambi i dischi sono registrati in presa diretta, in studio o in concerto, per non interferire con l'energia da jam band che si scatena quando il gruppo ingrana. Armonica, tastiere, basso, batteria, cori, qualche sax e tante chitarre: questa è la ricetta del loro rock'n'roll, una ricetta semplice, gustosa ed irresistibile, come l'aglio olio e peperoncino. Tanto rock e boogie lasciati liberi di scorrere come cavalli selvaggi, suonati con perizia e con entusiasmo, che potrebbero tranquillamente dirci che quelli che ascoltiamo sono nastri di, chessò, la Marshall Tucker Band, e non avremmo nulla da obiettare.
Divertente, coinvolgente, da ascoltare ad alto volume e sullo stereo dell'auto. Qua e la un highlight, anche se tutto il livello è molto alto, come nel rincorrersi degli assolo di flauto e sax, o una cover di Springsteen. Tutti gli altri brani sono rigorosamente home made.

Bello, da ascoltare!

martedì 11 marzo 2014

Sugarpie and the Candymen


Un gruppo che trae spunto dall'evocazione del Mississippi della Louisiana dal Po della bassa padana: Sugarpie and the Candymen sono un ottimo gruppo di swing che dimostra una volta di più quanto potenziale musicale si celi lungo la SS9, la via Emilia. Attivi da qualche anno, hanno già all'attivo non meno di tre o quattro dischi, di cui ho avuto la fortuna di imbattermi nel secondo, Swing'n'roll. Georgia Ciavatta è la cantante solista, Jacopo Delfini è il chitarrista gypsy, il Django Rejnard della situazione; Renato Podestà pure alle chitarre mentre la ritmica comprende Alex Carrieri al contrabbasso e Roberto Lupo alla batteria.
Il suono del gruppo è avvincente: rinunciando all'ortodossia musicale e alla semplice revisitazione del passato, S&C vivono con naturalezza lo swing come mezzo espressivo, scrivendo brani effervescenti che rievocano la stagione dei Radio Days degli anni trenta e quaranta. Quando cantano le magiche arie di Maybe I Hate Maybe I Love e Tell Me Boy riescono a creare un'atmosfera frizzante, affascinante ed evocativa.
Aveva una casetta è un brano swing cantato in italiano che in un mondo perfetto avrebbe potuto entrare nelle classifiche pop.
La sorpresa giunge con la revisitazione in chiave swing di brani rock'n'roll: niente meno che un intero medley dedicato ai Led Zeppelin, che entusiasma fra Rock and Roll / Heartbreaker e Whola Lotta Love (di cui viene conservato persino l'inserto dissonante). Ma anche Kylie Minogue, Fool's Garden e Guns N' Roses (Paradise City).

Il suono è perfetto, la voce di Georgia non gioca sull'estensione vocale quanto sul fascino del timbro, il risultato è assicurato. Quando suonano le loro canzoni non si può fare a meno di farsi trascinare e ballare. Un gruppo che dovrebbe essere premiato dalla popolarità (e un concorrente per Veronica Sbergia e i Red Wine Serenader).


lunedì 3 marzo 2014

Live in Pisa


Prima tappa del Medicine Show a Pisa, per una serata per me memorabile alla birreria Vintage, organizzata e diretta magnificamente dal duo Luca Rovini e Francesco D'Acri, aiutati dall'armonica di Andrea Giannoni.
Io ero fresco di ritorno da Londra per il concerto di Wilko Johnson e Roger Daltrey, e non avevo letteralmente avuto il tempo non dico di preparare ma neppure di immaginare la serata, che dunque da parte mia è andata a braccio, in totale improvvisazione. Più preparati di me per fortuna erano Luca e Francesco, che avevano in repertorio un bel portafogli di cover per supportare le mie storie in rock. E che cover: una Ring Of Fire, una Dead Flowers, una Shelter From The Storm che neanche Johnny Cash e Bob Dylan...
Ragazzi, credo proprio che fra un disco italiano e l'altro dei vostri, dovreste trovare il tempo per registrare un album di classici del rock, fatti con la grinta che ci mettete voi. Per farlo non vi manca proprio nulla.

(A non fare i conti con il tempo, gli sforzi ed i costi dell'impresa sarebbe anche bello lasciar correre l'immaginazione ad uno spettacolo teatrale itinerante che racconti la storia del rock attraverso racconti, canzoni e immagini...)


Bello il locale, e caldo e cordiale il pubblico che riempiva il locale fino a riversarsi all'esterno sulla strada, che mi ha accolto con affetto e non ha dato segno di annoiarsi ma anzi ha scelto di portarsi anche casa il mio libro (e a proposito grazie anche a mia figlia che si è divertita tantissimo e ha dimostrato una stoffa imprenditoriale che al padre fa del tutto difetto. La cosa mi dovrebbe tranquillizzare per gli anni della pensione).

La serata è andata avanti con il concerto di Luca e Frankie, una pizza all'altrettanto affollato e mitico Montino ed una visita al chiar di luna alla Piazza dei Miracoli con la torre pendente.
Per chi è in zona ma quella sera non c'era, il libro Long Playing (una storia del Rock) è in vendita a Pisa a... Luca, dov'è in vendita?


P.S.: è in vendita da Flowers Vinyl Records in Piazza San Paolo all'Orto a Pisa...

lunedì 3 febbraio 2014

Mean Streets (come funziona Little Italy)


Di tanto in tanto me ne vengo fuori con un capolavoro made in Italy, e magari a voi lettori viene il sospetto che (a) io stia recensendo un amico o (b) sia di manica larga perché si tratta di musicisti italiani. D'altra parte metà della stampa pubblica marchette e ha rinunciato da un pezzo alla critica.
La verità è che nel nostro paese esiste una scena rock che trabocca di entusiasmo, di talento e di voglia di farcela, che purtroppo trovo sempre meno nei dischi "originali" americani e meno che mai nel mio amatissimo brit rock.
È una scena che si meriterebbe riviste, recensioni, passaggi in radio, concerti affollati e magari anche un bel festival (Ermanno, sei in  linea? Un bel Festival di Little Italy, come ti suona l'idea?)

Vi spiego dunque come funziona Little Italy: ricevo un disco o un file musicale quasi ogni giorno ma non ne recensisco più di un paio al mese. Già questo da la misura di quanto forte sia la selezione. Recensisco solo i dischi che mi fanno alzare le orecchie, quelli che ascolto perché ne vale la pena, quelli che mi porto anche in auto perché non mi stanco di ascoltarli. Dischi come quelli di Sugar Ray Dogs, Hernandez & Sampedro, Carugi - per citare gli ultimi - valgono qualsiasi disco a quattro stelle made in USA, e sarebbe un peccato se voi li ignoraste.
Per scelta scrivo solo dei dischi che mi piacciono. Mi sembrerebbe un'arroganza da maestrina considerarmi il giudice del lavoro altrui stabilendo ciò che è bello e ciò che è brutto (io che non so suonare neanche gli accordi della Canzone del Sole). In effetti non mi definisco un critico musicale, ma un cronista musicale. Consiglio a chi mi legge cosa ascoltare e non cosa non ascoltare (a meno che non si tratti di Bob Dylan).
E sono sempre assolutamente sincero.
A nessuno piace non piacere, a nessuno che ho conosciuto piacciono le critiche. Vale anche per me, immagino: accetto le critiche soprattutto se non me ne fate... ;-)

Ogni volta che ho risposto ad un musicista: "non scrivo del tuo disco perché non mi piace abbastanza" qualcuno si è offeso ma la maggior parte lo ha accettato.
Intanto perché non dico: è bello o brutto, ma "mi piace" o "non mi piace". E parlo per me, non per tutto il mondo.
I miei criteri di giudizio sono elevati, misurati sulla stessa scala che uso per ogni grande o piccolo artista internazionale. E sono giudizi sinceri perché è una mia caratteristica incisa nel DNA e perché io scrivo per i miei lettori.
Mi sono fatto molti amici fra i musicisti scrivendo di loro, ma mi faccio un punto d'onore e a dichiararmi deluso quando un loro disco non mi convince.
Anche in questo momento, ho un paio di nuovi dischi da recensire: uno è di una band che non conoscevo che mi ha conquistato, l'altro è di uno dei miei preferiti gruppi nazionali che però questa volta ha inciso un disco che alle mie orecchie suona mediocre. Lo scriverò, e spero che non me ne vorranno, ma che apprezzino a maggior ragione i complimenti che ho usato per i lavori precedenti.

Perché se scrivo che un disco è molto buono, potete scommetterci che mi è piaciuto davvero. Non c'è diplomazia per le mean streets di Little Italy.

lunedì 6 gennaio 2014

Sugar Ray Dogs > Sick Love Affair


Un'altra ottima band da Little Italy. Questo è un trio che viene dalle swamp, per quanto mi pare di indovinare del triangolo fra il Ticino e il Po. Lupi mannari delle risaie, cajun della Lomellina, creoli della Lombardia. Un disco notturno che ammalia, Sick Love Affair, fra echi di Willy DeVille, Robert Johnson e Tex Willer. Per qualche bizzarro motivo i due brani che lo aprono non sono quelli che più mi hanno conquistato: la giga irlandese di Time To Run e il blues cupo di Road Of 7 Sins.  Belli, per carità, i sette peccati capitali portano alla mente persino il Ry Cooder d'annata.
Ma è con Fall In Love che comincio a sciogliermi, che mi pare un inedito del grande Willy DeVille. Che non a caso ospite del trio di lupetti mannari c'è il grande Freddy Coella, che chi ha visto con DeVille non dimentica, e chi non l'ha visto si procuri (ma subito) Willy DeVille Live At Montreux 1994, che è uno dei più intensi film in concerto in circolazione.

"I fall in love with every girl, I fall in love with every emotion" canta Ernani Natarella, mentre Alberto Steri lo accompagna alle chitarre e Andrea Paradiso ci da dentro con il ritmo.

Nocturnal è una fuga nella notte "Oh oh, I'm feeling like a black crow, oh oh I think I'm gonna die, your ghost's still knockin' on my door, comes to me every night" sull'indiavolato violino di Chiara Giacobbe.
Baby No Mercy è una ballata zingara su un gran mandolino, che ti strizza l'anima nel coro di "...and I'll be gone over the rising sun, you'll se me fall apart over the rising sun, baby no mercy, you have no mercy, no mercy on me". Grande!
Red Dog è una tarantella, come la faceva la PFM in Celebration tanti anni fa.
Tonight è uno spaghetti western alla Morricone: "Tonight tonight, there's no escape, tonight tonight you'll be mine".
Irresistibile la ballata di We're All Irish, che porta per forza di cose alla mente persino il cielo d'Irlanda ("siamo tutti irlandesi dal fondo della nostra anima").
Story Without Glory è una fumosa ballata folk di periferia, su una storia d'amore finita senza gloria.
Every Man Has His Jail, ogni uomo ha la sua prigione, è una giga che sembra saltar fuori dalle Seeger Sessions.

Bello, proprio bello. Con una ballatona alla luna in chiusura sarebbe stato perfetto. Manca solo quella.

sabato 4 gennaio 2014

i preferiti di Little Italy del 2013



  1. Hernandez & Sampedro con il perfetto esordio di Happy Island, 
  2. il live No Way Back dei Miami & The Groovers
  3. la conferma di Lake Pontchartrain di Cesare Carugi
  4. Claudio Milano con Bath Salts per l'avanguardia


Una segnalazione speciale per Desmond di Ubba, Lorenzo Semprini (Cowboy), Luca Rovini al suo esordio, Bernardo Lanzetti dal vivo con l'orchestra per gli amanti del prog anni settanta e Sick Love Affair dei Sugar Ray Dogs, italici Loup Garou con l'anima nella Louisiana e nei dischi di Willy DeVille.

Canzone italo americana dell'anno We'll Meet Again Someday di Cesare Carugi.