domenica 6 luglio 2014

Veronica Sbergia & Red Wine Serenaders


Ho (finalmente) visto Veronica Sbergia & Red Wine Serenaders in concerto!
Per essere precisi ho visto Veronica con Max De Bernardi, perché mancava alla formazione il contrabbassista Dario Polerani. Veronica & Max aprivano ufficialmente il festival blues Dal Mississippi al Po nella cornice, piccola ma oltremodo suggestiva, della Muntà di Ratt a Piacenza. M'aspettavo molto, ma i due sono stati addirittura superlativi, conquistando tutti il pubblico, sia quello seduto per l'occasione sia quello di passaggio in cerca di frescura.
Numero 1: Veronica e Max sono due virtuosi. Della voce l'una, della chitarra l'altro.
Con il suo fingerpickin' sulla steel guitar (o meglio resofonica: quelle grandi chitarre di metallo che amplificano il suono delle corde prima dell'arrivo della chitarra elettrica) il grande Max ha evocato John Fahey in "la resurrezione del tasso del miele" ("una canzone strumentale, perché che parole ci metti ad un titolo così?"), Ry Cooder e gli originali virtuosi del blues fino a echeggiare persino il rhythm & blues elettrico di Bo Diddley, trascinando lo show. Dal canto suo Veronica ha fatto sfoggia di una voce impressionante quanto flessibile: se il tema di base è il blues e l'old time music fino allo swing, ci sono stati momenti in cui è stata evocato persino il fantasma della grande Janis Joplin. E nel suo nuovo disco canta persino uno splendido brano folk.
Lungi dal basare lo show sul virtuosismo naturale, Veronica ha mostrato una grande simpatia ed ha coinvolto il pubblico con tanti racconti fra le canzoni, che se da un lato stemperano il climax dall'altro sono efficaci nel coinvolgere anche il pubblico più casuale.
Ho sentito le mie canzoni preferiti (come quella One Of These Days che fu del grande Armstrong) e quelle nuove. Molto belle anche quelle uscita dalla penna dei due musicisti, come The Mexican Dress. 


Da sottolineare che non solo i Serenaders stanno battendo le piazze italiane, ma che in realtà sono persino più spesso in tour al'estero, dall'Europa agli States, che è la patria della loro musica. È appena uscito il nuovo disco, The Mexican Dress, di cui riporto la recensione di Pierangelo Valenti, che più completa non si può:

Grazie alla raccolta fondi tramite Musicraiser, andata oltre ogni più rosea aspettativa, abbiamo finalmente tra le mani, giunto a noi in tempi rapidi (oserei dire addirittura fulminei) “The Mexican Dress”, il nuovissimo album di Veronica & The Red Wine Serenaders. Per chi si fosse sintonizzato da poco ricordo che il gruppo, un micidiale concentrato di forme anche arcaiche, urbane e rurali, di blues, jazz, ragtime, old time e folk, comprende la splendida titolare (voce, ukulele, washboard ed ammennicoli vari), il professor Max De Bernardi (voce, chitarre resofoniche e non, banjo a sei corde) ed il solido punto di riferimento ritmico Dario Polerani (contrabbasso troppo spesso causa della mia invidia). Per l’occasione, riguardo la parte registrata negli States, il trio si avvale del talento di ospiti locali quali Joel Tepps (eccellente clarinetto in “Baby Please Loan Me Your Heart” di Papa Charlie Jackson, hidden track), Tom Hume e Denny Hall, polistrumentista, cantautore di razza (ben tre brani portano la sua firma) e leader dei The Nite Cafè. Sul fronte nostrano una vero gioiellino la prestazione di Massimo Gatti, insieme a Martino Coppo, Paolo Monesi e Josh Villa (ah, questi italiani partiti in sordina ed arrivati ai vertici!), uno dei mandolinisti più apprezzati dal sottoscritto e dal pubblico bluegrass e newgrass italiota ed europeo ormai da anni, qui in grandissima forma con due ispirati assolo nelle tracce frutto della collaborazione, per troppo tempo inedita e finalmente uscita di prepotenza alla luce del sole, tra Veronica e Max: la bellissima omonima composizione che dà il titolo al lavoro e “Crying Time”, uno swing che rimanda di prepotenza ad un verace country strappalacrime anni Cinquanta. Per chi conosce la band l’album, tra parentesi vestito di una grafica fresca ed appropriata, costituirà una straordinaria conferma di come questa musica, sia nel repertorio d’epoca che nei brani originali scritti ieri l’altro, sia viva, eccitante e stimolante. E’ vero, io sono di parte: con questi artisti, la loro sensibilità, la loro serietà, le loro scelte vado a nozze e non da oggi. Appena Max imbraccia una chitarra molto spesso io so dove va a parare perché molti dei suoi musicisti preferiti, che in qualche modo hanno influenzato la sua tecnica ed i suoi gusti, sono anche i miei, cercati e trovati in un percorso parallelo ed affascinante. Prendiamo qui una delle sue creazioni, il tour de force strumentale di “The Resurrection Of The Honey Badger”: ci sento intimamente le buone vibrazioni alla Elizabeth Cotten di “Vastopol” e “Spanish Fang Dang” o il Sam McGee delle classiche, una volta inarrivabili, “Buck Dancer Choice” o “Knoxville Blues”. Per tacere del divertente ed ironico hokum di “Banana In Your Fruit Basket” del campione Bo Carter (al secolo Armenter Chatmon), altra scelta quasi obbligata. E la signorina Veronica Sbergia? Cito solamente la sua fantastica, vissuta ed ammiccante riedizione di “Dope Head Blues” di Victoria Spivey… E’ uscito ufficialmente il 23 giugno. Fate la fila.

(Pierangelo Valenti) 

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