martedì 20 marzo 2012

Mandolin Brothers 30 Lives!




"Pensavo a una serie di sogni, dove volano il tempo e il ritmo e non c’è uscita in nessuna direzione, tranne quella che con gli occhi non si vede". (Bob Dylan)

E’ chiaro fin dalle prime note che i Mandolin’ Brothers si sono schierati sul palco pronti a tutto, ma vorrebbero essere altrove. Il trucco lo conoscono bene. Quando riecheggia Dark Was The Night Cold Was The Ground ormai soltanto Paolo Canevari e Jimmy Ragazzon e Peter Guralnick pensano a Blind Willie Johnson. Tutti gli altri, quelli che erano a Spaziomusica e quelli che la sentiranno qui, partiranno subito per Paris, Texas. I Mandolin’ Brothers, che sono on the road da trent’anni, sanno che è un biglietto di sola andata. Per cui potete prendere un Midnite Plane per andare a vedere lo skyline di Bombay, volare a Saigon, o a Paris, France sull’onda delle tastiere e della fisarmonica di Riccardo Maccabruni o infilarvi in una Copperhead Road (fatte attenzione ai crotali), ma prima di tutto dovete decidere, scegliere dove andare e da che parte stare, vi dovete muovere, You Gotta Move e qui i Mandolin’ Brothers fanno arrivare il blues, i Rolling Stones, Andy Warhol e mille altri di quei sogni che solo il rock’n’roll può regalare. Anche se non è che un concerto possa farvi dimenticare i guai di un mondo guasto, e ci vuole coraggio a cantare Almost Cut My Hair, che per inciso (anche grazie alle chitarre di Bruno De Faveri) suona ancora più ribelle oggi di allora, e Carton Box (con il basso di Joe Barreca che vi trascinerà nelle viscere della terra) perchè tutti i giornali e le televisioni hanno fatto vedere gli scatoloni dei manager in fuga dalla crisi e dai disastri che loro stessi hanno combinato, ma non spendono mai una parola per chi in quei cartoni ci passa una vita. Si capisce allora che David Crosby, Steve Earle o Ry Cooder non sono soltanto i cardini del concerto, ma tappe di un percorso, frammenti di un ritratto, spiriti affini, parti di un mondo che i Mandolin’ Brothers e tutti quanti a Spaziomusica e chiunque si nutre di rock’n’roll crea e ricrea ogni giorno e ogni notte, un identikit la cui forma diventa chiara solo dopo anni & anni & anni: sì, il tempo è dalla nostra parte perchè il tempo si ferma solo se non si fermano i sogni e qui dentro di sogni ce ne sono ancora, ma anche sui sogni i Mandolin’ Brothers non scherzano perchè uno può sognare di vincere la lotteria o di diventare presidente della repubblica (auguri), ma sognare di vivere dentro Waiting For Columbus è qualcosa di così raffinato e originale che non ci si accorge nemmeno che è un sogno perchè Dixie Chicken la stanno suonando sul serio dopo che la batteria di Daniele Negro ha cominciato Iko Iko come se Pavia, Londra, Los Angeles, New Orleans e Paris, Texas dove tutto è cominciato, fossero sullo stesso parallelo, una linea (rossa e bollente) che collega tutti i punti di una geografia che abbiamo in testa e ne fa un luogo dove si vive un pò meglio. Attenzione, però, con i Mandolin’ Brothers si viaggia, come direbbe Sam Shepard, "da un posto a un altro. Ma è nel mezzo che c’è l’azione". Ecco, qui dentro l’azione, dalla prima nota della slide all’ultima parola di Muddy Waters, non è tanto quella di una rock’n’roll band che suona (alla grande, peraltro), ma quella di una rock’n’roll band che continua a sognare. Non gli si può sfuggire. Still Got Dreams. I sogni invocano responsabilità. Alzate il volume. Chiudete gli occhi. Buon viaggio.

Marco Denti, Lodi, Settembre 2009

Marco Denti è stato il mio direttore su Feedback, la migliore rivista rock italiana di sempre e l'unica di cui nessuno ha memoria. Gli rubo le parole che ha usato per il grande disco live della The Band italiana in attesa di trovarne io di mie per raccontarvi dei grandi Mandolin' Brothers. (Blue Bottazzi).

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