lunedì 8 ottobre 2012

Hard Travelin'



WOODY GUTHRIE'S NIGHT   LEONCAVALLO   21 SETTEMBRE  2012

Lo vedi lì magro, ossuto, fragile con la chitarra con su  scritto "questa macchina uccide i fascisti" e pensi sia solo uno di quegli altri disperati magari anche comunisti che lui cantava, uno di loro, di quelli che fuggivano le tempeste di polvere dell'Oklahoma e del midwest per andare a cercare la terra promessa nell'ovest, in California, la terra del lavoro e del sogno americano.

Più tardi arriva a New York e la definisce "una città di poliziotti, predicatori e schiavi"  dove se Gesù predicasse ancora come faceva in Galilea, lo inchioderebbero di nuovo sulla croce. Testimonia la rinascita economico che il new deal porta nel depresso nord-ovest e scrive la sua canzone più famosa This Land Is Your Land che ancora adesso tanti americani credono sia una canzone patriottica. Vive le speranze antifasciste della seconda guerra mondiale, compone canzoni sulla storia del movimento operaio americano, canzoni per i bambini, canzoni sulla amata Ingrid Bergman perché  Guthrie non era un santo e nemmeno un eroe, gli piacevano le donne e il cinema, Stalin e il vino, era guascone e aveva un caratteraccio.  Vive gli ultimi anni alle prese con una terribile malattia del sistema nervoso, la chorea di Huntington che lo costringe infermo a letto in una clinica ma ancora lucido. Sentendo le sue canzoni ci si accorge che l'America di allora è ancora così adesso ed è forse la ragione perché ci sono stati così tanti Woody's children, figli di Guthrie, a cominciare da quel tipetto arrivato dal Minnesota a trovarlo quando già era ammalato in clinica. Scrisse per lui Woody's Song si chiamava Bob Dylan anzi Robert Zimmermann e trovò nella musica di Guthrie un linguaggio semplice e diretto per parlare della dignità dell'essere umano, la cosa più grande della vita come diceva sempre Woody. Poi arrivarono tanti altri, Phil Ochs, Billy Bragg, Bruce Springsteen, Steve Earle, John Mellencamp, Ani Di Franco, Utah Phillips, qualcuno noto altri sconosciuti, tutti a cantare una musica che potesse migliorare la vita e gli esseri umani.
Cantare le sue canzoni senza dimenticare le sue ragioni questo è il messaggio che ha lasciato Woody Guthrie e Veronica Sbergia (ukulele, autoharp,voce), Max DeBernardi (chitarre e voce), Massimo Gatti (mandolino) e Dario Polerani (contrabbasso) hanno ricordato attraverso un concerto imperniato sulle sue canzoni, un set toccante e coinvolgente dove il materiale di Guthrie è stato interpretato con spigliatezza e freschezza nonché  con l'usuale bravura tecnica del quartetto. Il feeling, le voci e gli strumenti hanno contagiato il centinaio e più di presenti, trasformando il Leonka in un club dell'East Village. Suoni cristallini, impasti  vocali magnifici, l'atmosfera pura del folk senza le pesantezze del rigore a tutti i costi, anzi il brio e l'ironia che anche Guthrie metteva nella sua musica e che Max, Veronica, Massimo e Dario hanno riversato nelle loro interpretazioni. La Woody Guthrie's Night di venerdì 21 settembre al Leoncavallo,  un appuntamento snobbato da molti addetti ai lavori che si precipitano non appena è di scena l'ultimo degli sfigati d'oltreoceano ma non si accorgono che alle nostre latitudini c'è chi interpreta la roots music ad un livello eccellente, è stato il modo migliore per ricordare e far conoscere uno dei più grandi poeti della musica popolare americana. Sono cento anni che Woody Guthrie è nato ma la sua musica non ne risente, i quattro hanno fatto vivere lo spirito e le ragioni della sua musica offrendo una versione musicale ricca, suggestiva, colorata anche quando era la polvere la protagonista delle storie, supportati dalle immagini che scorrevano alle loro spalle, dalle eloquenti letture di  Michele Buzzi che con dei flash approfonditi ha commentato l'opera di Guthrie e dalla recitazione dei testi delle canzoni da parte del Gruppo Teatrale Leoncavallo.
Una serata assolutamente fuori del comune, uno spettacolo che, si spera, possa avere delle repliche.

Mauro Zambellini, Zambo's Place 

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