Con il suo disco d'esordio Cesare Carugi, aveva messo in chiaro di candidarsi al ruolo di miglior autore nazionale di canzoni. Pontchartrain, in questo finale d'estate 2013, conferma tutto il suo talento e aggiunge qualche cosa. Aggiunge l'accompagnamento di una band di rock delle radici come i Mojo Filter, ed aggiunge la straordinaria atmosfera rarefatta, nebbiosa, romantica, che accompagna l'ascoltatore dalla prima all'ultima delle dodici tracce di un album rock che sa di legno, terra, cielo, nuvole e della malinconia del lago della Louisiana da cui prende il titolo.
Non solo un grande autore ma ha anche una grande voce, Cesare, una voce profonda, vibrante, evocativa, abbastanza personale da non ispirarsi a nessun cantante né oltreoceano né oltremanica - ma se proprio dovessi fare un nome per dare un'idea al lettore, quel nome sarebbe Lloyd Cole.
Parte forte con le chitarre elettriche di Troubled Waters, che pompa come un John Hiatt d'annata. Poi sono ballate su ballate, chitarre acustiche cesellate dai tocchi di un'elettrica (come in Long Nights Awake) o un violino (Drive The Crows Away). Ballate appassionate (Carry The Torch) e gighe infuocate (la title track). Quando arrivando alla dodicesima traccia già siamo convinti di aver messo le mani su uno dei migliori dischi rock dell'anno, Cesare ci accomiata assicurandoci che We'll Meet Again Someday, in un trionfo, un brano che potrebbe essere uscito dalla penna di zio Bob (Dylan) - o come dice Zambo, di John Prine - che se Cesare fosse americano non mancherebbe la top ten di Billboard.
Nessun amante della musica rock, che lo sia del West, del Village o di Camden Town, può permettersi di non ascoltare questo Pontchartrain. E difficilmente non se lo porterà a casa, per trovargli un posto speciale nella propria raccolta di dischi.
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