lunedì 22 dicembre 2014

Lowlands > Love etc...


Questo 2014 è di certo l’anno di Edward Abbiati. Dopo l’ottimo disco in coppia con Chris Cacavas dei Green On Red, quel Me and the Devil che riporta alla mente l’epopea della new wave del west degli anni ottanta, lost week-end e compagnia, ora Ed e la sua band, i Lowlands di Pavia, se ne escono con lo splendido Love etcetera.
Se esiste un sound di Little Italy, è il suono di questo disco. Qui c’è tutta l’ispirazione del Village e del Jersey Shore degli anni settanta, il suono di Steve Forbert, Willie Nile, Elliot Murphy, Bruce Springsteen & the E Street Band. E naturalmente il suono della SS45, la via Emilia, e dei Lowlands.

Un disco spigliato, spensierato, di piccola sottile poesia e tanta allegria. Edward che canta e suona la chitarra acustica sopra un evocativo accompagnamento di una sezione di fiati e persino di archi, che non può non evocare lo shuffle della E Street Band di Greetings e di The Wild & The Innocent, con la bella ritmica diretta dal Rigo Righetti, la fisarmonica, la chitarra elettrica e tutto il resto. E, lasciatemelo dire, anche il Van Morrison di Moondance. È poco?

Le canzoni sono davvero belle, è un disco che lascio suonare di più sullo stereo, a ripetizione, e non c’è un ascoltatore che ne rimane indifferente.

Bella l’introduttiva How Many, che più delle risaie pavesi disegna lo skyline di New York City.
Bella Love Etc..., che si apre vagamente come la Can’t Help Falling In Love fatta dal Boss.
Delicata I Wanna Be, lievemente jazzata come lo shuffle della E Street dei primi giorni.
Divertente You Me The Sky and the Sun, vagamente rock’n’roll degli happy days.
Intima You and I, cesellata da piano, violino e violoncello.
Un rag metropolitano Happy Anniversary, con i fiati e i cori.
Cinematografica Can’t Face The Distance, con il lamento di un armonica.
Una ballata vivace Wave Me Goodbye.
Bluegrass urbano My Baby.
Orecchiabile e radiofonica Doing Time.
Una ballata al tramonto Still I Wonder.
Poetica la fisarmonica di Goodbye Goodnight, un brevissimo lento che prende commiato lasciandoci la pelle d’oca:

« Addio, buona notte, non c’è niente che avremmo potuto fare 
abbiamo fatto del nostro meglio per costruire il nostro nido 
addio, buona notte... »

Un disco che sarebbe un gran lavoro anche se fosse americano. Anzi, soprattutto se fosse americano. Perché in America di dischi così ormai se ne fanno pochini. Ascoltatelo.



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